venerdì 29 maggio 2020

Festìna lente

Questo motto latino, tuttora molto usato, significa: affréttati lentamente, e pare che fosse pronunciato spesso dall'imperatore Augusto, uomo energico ma cauto. Ce lo riferisce il biografo Svetonio, autore delle "Vite dei XII Cesari", che però, se vogliamo essere precisi, cita la frase in greco: σπεῦδε βραδέως (Vita Divi Augusti, 25), la cui traduzione letterale in latino è, appunto, festìna lente. Affrettarsi lentamente è un ossimoro, cioè una figura retorica che consiste nell'accostare due parole dal significato contrastante, ma la sua finalità è evidente: consiste nel consigliare di essere decisi ma non avventati. Il verbo latino festinare è un verbo nello stesso tempo transitivo e intransitivo, che si può tradurre in italiano con affrettarsi e con affrettare, tanto è vero che esiste il participio passato festinatus, a, um equivalente in italiano ad "affrettato", "frettoloso".
Permettetemi una lunga divagazione (oserei dire: un volo pindarico, se non temessi che Pindaro, un po' suscettibile come tutti i Greci, potesse offendersi), suggeritami da una cara reminiscenza di una locuzione di Marziale: festinata umbra (= ombra frettolosa) riferita ad Erotion, una bimba di neppure sei anni rapita prematuramente dalla morte.
Tra gli epigrammi più commoventi di Marziale – in mezzo a tanti osceni ce ne sono anche di questi – spiccano per delicatezza di sentimenti i tre da lui dedicati alla piccola Erotion (parola di derivazione greca con il significato di amoruccio). Si trattava di una bambina morta sei giorni prima di compiere il sesto anno, una schiava nata in casa da due schiavi – la definisce vernula –, ma qualcuno ha avanzato l'ipotesi che potesse essere una figlia naturale del poeta, frutto di una relazione con una schiava. In ogni caso egli si rivela molto affezionato alla bimba e oltremodo sofferente per la sua morte prematura. I teneri appellativi con cui si rivolge a lei nel primo epigramma (V, 34): boccuccia e gioia mia, il timore che la fanciullina si spaventi alla vista delle nere ombre del Tartaro e del mostruoso Cerbero, cane guardiano degli Inferi, il fatto che egli si raccomandi ai propri genitori defunti, perché se ne prendano cura e la facciano giocare, sono tutte manifestazioni che suscitano una commossa ammirazione nei lettori e rivelano la profonda sensibilità di Marziale. Ecco il primo dei tre componimenti:

A te, padre Frontone, a te, madre Flaccilla, affido questa bimba, mia boccuccia e gioia mia, affinché la piccola Erotion non abbia paura delle nere ombre e dei musi mostruosi del cane infernale. Era sul punto di affrontare i freddi del suo sesto inverno, se non fosse vissuta sei giorni di meno. Giochi allegramente tra i suoi patroni tanto vecchi e cinguetti il mio nome con la sua pronuncia ancora indecisa. Non copra le sue ossa una zolla dura e tu, o terra, non esserle pesante: lei non lo fu a te.

A breve distanza dal primo, troviamo il secondo epigramma (V, 37), notevolmente più lungo, contenente anch'esso uno struggente rimpianto della bambina a lui tanto cara. Vi manca, però, la spontaneità dei sentimenti e l'immediatezza espressiva che ci colpiscono in quello appena letto, perché il dolore e la commozione sono filtrati attraverso un'esasperata ricerca di termini di paragone sempre più bizzarri e lambiccati, che rivelano lo sforzo del poeta di mostrarsi originale a tutti i costi, uno sforzo che nasce più dal cervello che dal cuore. Inoltre l'epigramma è volutamente costruito alla ricerca dell'effetto, perché Marziale negli ultimi sette versi introduce abilmente un nuovo argomento che, abbinato all'epicedio, prepara il colpo a sorpresa finale, il classico – e, in questo caso, molto brillante – fulmen in clausula.
Merita, comunque di essere letto, perché, al di là di ogni considerazione critica, rivela fino a che punto lo scrittore fosse affezionato alla piccola Erotion:

La bimba per me più dolce del canto di cigni vecchi, più morbida di un agnello del Galeso tarantino, più graziosa di una conchiglia del lago di Lucrino, a cui non potresti preferire le perle eritree, né l'avorio appena levigato di un elefante indiano, né le prime nevi o un giglio immacolato; i suoi capelli erano più morbidi della lana delle pecore betiche, di quelli annodati dei Germani, più splendenti dell'oro; dalla sua bocca emanava un profumo come dai roseti di Pesto, come dal primo miele dei favi attici, come da un pezzo di ambra appena tolto di mano; paragonàti a lei, il pavone sfigurava, lo scoiattolo appariva sgradevole, la fenice un uccello comune, questa bimba – Erotion – ancora è tiepida nella sua tomba recente, lei che, prima della fine del suo sesto inverno, mi fu sottratta dalla legge amara di un destino assai crudele: il mio amore, la mia gioia, il mio divertimento. Tuttavia il mio Peto mi proibisce di essere triste, e battendosi il petto al pari di me e strappandosi i capelli, dice: “Non ti vergogni di piangere la morte di una schiavetta? Io ho appena sepolto mia moglie, eppure seguito a vivere: era famosa, illustre, nobile, ricca.”
Ci può essere qualche cosa più forte del nostro Peto? Ha ereditato venti milioni, eppure seguita a vivere.

Il terzo epigramma fa parte del decimo libro (X, 61), composto quando Marziale aveva già concepito il proposito di tornare nella sua Bilbilis. Perciò, in procinto di trasferirsi in Spagna, raccomanda al futuro – e ancora sconosciuto – proprietario del suo piccolo podere nei pressi di Nomentum di non dimenticarsi di fare sacrifici annuali ai Mani di Erotion, che è stata sepolta dal poeta proprio in quel terreno:

Qui riposa Erotion, ombra frettolosa, che per colpa del fato morì nel sesto inverno. Chiunque sarai, proprietario dopo di me del mio campicello, porterai ogni anno le giuste offerte ai modesti Mani: così, restando sempre acceso il focolare domestico e sana e salva tutta la tua famiglia, questa pietra nel tuo campo sia la sola su cui piangere.

Festinata umbra, ombra frettolosa... Questa triste e, a suo modo, aggraziata definizione mi fa venire in mente il sospiro di rimpianto, con cui Orazio ricorda l'amata Cìnara, morta prematuramente: Ma i fati concessero a Cìnara brevi anni (Odi, IV, 13, vv. 22 – 23). Pensando alle fugaci apparizioni di Erotion e Cìnara sulla scena della vita, come non richiamare alla memoria le parole, che Giacomo Leopardi rivolge nostalgicamente alla defunta Nerina nelle “Ricordanze”?

… Passasti. Ad altri
il passar per la terra oggi è sortito,
e l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
fu la tua vita.

Post in evidenza

Festìna lente

Questo motto latino, tuttora molto usato, significa: affréttati lentamente, e pare che fosse pronunciato spesso dall'imperatore Augusto,...