lunedì 21 febbraio 2022

Che cosa siamo?

Ho letto con molto interesse i post di Sergio Bressan sull'origine del motto delfico Γνῶθι σεαυτόν [= conosci te stesso], ben dettagliati e argomentati [pubblicati nel Gruppo facebook "Filosofia antica e dintorni"]. Senza avere la pretesa di aggiungere qualcosa di particolarmente significativo, vorrei allargare il discorso, per dimostrare quanto questo motto sapienziale sia stato tenuto presente nei secoli successivi, anche da parte di esponenti culturali non necessariamente filosofi di professione e sia diventato il cardine di un atteggiamento eticamente esemplare. Voglio parlare del poeta satirico latino Aulo Persio Flacco, vissuto nel fosco periodo neroniano e avviato alla filosofia stoica dal suo maestro Lucio Anneo Cornuto.
Nella sua III satira, volta a rimproverare un ragazzo, che pensa solo a ubriacarsi e a divertirsi, trascurando gli studi e il perfezionamento morale, Persio formula dieci domande, davvero ineludibili, a cui nessuno può pensare di sottrarsi, perché, come il poeta dice al giovane debosciato: tibi luditur = sei tu ad essere in gioco (Sat. III, 20). Ecco le dieci domande del “questionario” persiano, ricavate dai versi 66 – 72 della terza satira:

1. Che cosa siamo?

2. Per quale vita siamo stati messi al mondo?

3. Quale posto ci è stato assegnato?

4. Qual è il modo e il punto più adatto per girare intorno alla meta?

5. Qual è la giusta misura per la ricchezza?

6. Che cos'è lecito desiderare?

7. Qual è l'utilità della ruvida moneta?

8. Quanto è giusto dare alla patria e ai cari parenti?

9. Il dio chi ha voluto che tu fossi?

10. Quale ruolo ti è stato assegnato nella condizione umana?

Tengo a precisare che il poeta ci presenta solo le domande, ma, a differenza di un vero e proprio catechismo, non ci fornisce le risposte, lasciando a noi la responsabilità e la soddisfazione di elaborarle. Però, se noi esaminiamo con cura le sue sei satire, possiamo trovare degli spunti che ci facilitano la ricerca delle risposte. Fermiamoci a riflettere sulla prima.
Nel verso 7 della prima satira Persio pronuncia una sentenza: “non cercarti al di fuori di te” (nel testo latino: “nec te quaesiveris extra”), originale rielaborazione della massima più famosa del pensiero umano: Γνῶθι σεαυτόν (= conosci te stesso), incisa sul frontone del tempio di Apollo a Delfi. Chi non si sforza di conoscere se stesso, è condannato ad ignorare gran parte della propria personalità, ad accettare in modo acritico le mode e le idee dominanti, a cui non può contrapporre nessun pensiero veramente suo: in poche parole, ad essere succube del pensiero unico, del conformismo, della più abietta e ridicola omologazione. Cercarsi nel proprio animo, perdersi nella propria dimensione interiore significa anche – e soprattutto – prendere coscienza e possesso della propria singolarità, ancorarsi a una realtà che trascende la banale, pur se apprezzabile, corporeità e che apre, o può aprire, inaspettati orizzonti.
L'emistichio collocato nella seconda metà del settimo esametro della prima satira, non è stato apprezzato come meriterebbe. Infatti, anche i filologi estimatori di Persio, che non sono molti, tendono a banalizzarlo, proponendo una sterile alternativa, che non conduce a grandi esiti interpretativi: il futile dilemma è se considerare il te come complemento oggetto di quaesiveris (= non cercarti al di fuori), oppure in dipendenza di extra (= non cercare [chi? che cosa?] al di fuori di te). Io preferisco sdoppiare il te e collegarlo sia al verbo che alla preposizione: "non cercarti al di fuori di te". In questo modo otteniamo un pensiero molto profondo, che ci invita alla ricerca dell'autocoscienza. Si tratta in definitiva dell'esigenza di riappropriarci della nostra identità, unica e irripetibile, senza tener conto dei diversissimi giudizi emessi dagli altri sulla nostra natura e sul nostro comportamento; si pone, altresì, il problema di scavare nelle profondità del nostro io, per cercare di capire chi siamo veramente (corpo? spirito? anima e corpo? E, in questo caso, in che rapporto reciproco?) e quale sia il dovere che siamo chiamati a svolgere nella vita: quale sia – cioè – la nostra vocazione. Ma questo rientra nella seconda domanda ed è un altro problema.

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