venerdì 15 gennaio 2021

Un derby immaginario

Non ricordo se io stessi in prima o in seconda media. La professoressa di italiano, latino, storia e geografia - si chiamava Piccinini - in un compito in classe di italiano ci diede come traccia per un tema - non rammento il titolo esatto - di raccontare uno spettacolo a cui avevamo assistito. Io, non sapendo di che cosa parlare, dato che le condizioni economiche della mia famiglia non erano tanto agiate da permetterci di frequentare cinema e teatri né tanto né poco, e di recente avevamo acquistato un televisore (con un solo canale e in bianco e nero), mi inventai di aver assistito a una partita di calcio tra la Roma e la Lazio trasmessa in diretta alla televisione. Ovviamente a quei tempi una cosa del genere non avveniva mai e tutt'al più potevo vedere qualche rapido episodio di una partita nei servizi sportivi del telegiornale e leggere i resoconti, corredati di qualche foto, su un quotidiano, che circolava in casa mia quasi ogni giorno. Ma, poiché fin da piccolo l'immaginazione non mi mancava, ricreai con la mia fantasia una partita di calcio, che non è stata mai giocata. Descrissi lo stadio, il pubblico sulle gradinate, le mie emozioni all'ingresso in campo delle due squadre, l'erba verde del campo, le magliette colorate dei giocatori (ancora erano quelle storiche: rossa con i bordi gialli quella della Roma, celeste con i bordi bianchi quella della Lazio). E la partita ebbe inizio. Premetto - ma lo si sarà già capito da alcuni post passati - che io sono sempre stato tifoso della Lazio, a cominciare proprio da quell'anno. Di solito si diventa tifosi di una determinata squadra, per seguire l'esempio di un padre o di un fratello maggiore. Non era davvero il mio caso: mio padre non aveva mai dato un calcio al pallone e ignorava del tutto non solo quello sport, ma pure tutti gli altri; mio fratello, che ha due anni più di me, era già diventato tifoso della Roma. Io scelsi come squadra del cuore la Lazio, per due motivi: in primo luogo perché il mio colore preferito è sempre stato l'azzurro in tutte le sue tonalità, dal celeste chiaro al blu scuro; in secondo luogo perché la rivalità fisiologica, che animava me, fratello minore, nei confronti del fratello maggiore, mi impediva di appiattirmi su una scelta fatta da lui.
Per mia sfortuna, sono sempre stato considerato un bambino, e poi un ragazzo, più maturo della mia età. Ho detto: per mia sfortuna, perché la mia innata capacità di immedesimarmi negli altri, di comprenderne i problemi, di saper ascoltare mi ha sempre attirato le confidenze delle "anime in pena", che mi cercavano per riversarmi addosso il loro carico di affanni, reali o immaginari. Ho fatto questa divagazione, per spiegare il motivo per cui non ho voluto far vincere la Lazio in quella partita, che potevo inventare a mio piacimento: mi sarebbe sembrato troppo puerile e poco cavalleresco, approfittarmi della "povera" Roma, lasciata alla mia mercé, e farla perdere (anche se con mia grande soddisfazione...). E così fissai il risultato sul 2-1 a favore dei "cugini" giallorossi. Mi ricordo che nell'epilogo del tema, usai delle parole toccanti per consolarmi di quella sofferenza (= far perdere la mia squadra del cuore e proprio in un derby!), concludendo che una sconfitta non è mai definitiva e non può impedire la possibilità di risorgere e di riscattarsi. 
Quel tema piacque molto alla mia professoressa, che mi mise 8 e me lo consegnò, perché potessi farlo leggere anche ai miei genitori. Poi dovetti riportarglielo... Mi sarebbe piaciuto averlo potuto conservare e, magari, rileggermelo proprio stasera.      

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