sabato 23 aprile 2022

La scomparsa di un mondo favoloso


Da piccolo mi sono appassionato agli Indiani d'America sulla base di qualche libro e di pochissimi film visti al cinema, dato che in casa mia la televisione entrò quando già stavo in seconda media. Ma anche quegli scarsi contatti mi furono sufficienti, per immergermi in quel mondo favoloso di avventure, di paesaggi sconfinati, di profonda saggezza. I risultati non tardarono a venire: un 8 preso in un tema in classe alla Medie, con la professoressa entusiasta, che volle complimentarsi con mia madre. Tanto tempo è passato da allora ma il mio interesse affettuoso è rimasto costante, tanto che, quando ho cominciato a scrivere romanzi e saggi letterari, ho voluto dedicare un romanzo anche ai miei cari Indiani (Edizioni Simple, ottobre 2011) ed è appunto quello che presento adesso...

Regione dei Grandi Laghi nel Nord America, anno 1758: sono queste le coordinate spazio-temporali, che caratterizzano l’inizio del presente romanzo. C’è in atto un conflitto accanito tra Inglesi e Francesi, combattuto senza esclusione di colpi nei selvaggi territori americani parallelamente alla Guerra dei sette anni (1756-1763), che nello stesso tempo insanguinava l’Europa coinvolgendo, però, un maggior numero di nazioni. A un tale conflitto partecipano anche le popolazioni indiane stanziate in quella zona, alcune alleate con i Francesi, come gli Uroni, altre con gli Inglesi, come gli Irochesi e i Mohawk. Gli indigeni molto ingenuamente s’illudono di poter stabilire una definitiva supremazia sulle tribù rivali, sfruttando l’aiuto militare dell’una o dell’altra nazione europea, ma non si rendono conto di essere semplici strumenti, di cui Francesi e Inglesi si servono per realizzare le loro mire espansionistiche. Alla fine saranno proprio i nativi americani i soli che correranno il rischio di rimetterci, come, infatti, è puntualmente avvenuto nel modo ignominioso che ben conosciamo.
Nel romanzo la giovane principessa dei Mohawk, sfruttando le sue doti di preveggenza, che le derivano dall’essere anche uno sciamano, si fa portavoce delle ragioni degli Indiani ed esprime un’amara profezia:


Mio bel capitano, voi bianchi sulla base dei vostri interessi opportunistici ora ci combattete, ora ci siete amici… Ma in entrambi i casi ignorate la civiltà e la cultura indiane...”

commentò la ragazza con il volto triste:

Prima o poi ci annienterete tutti e con noi spariranno per sempre anche le nostre tradizioni...”

Comunque, anche tra gli invasori europei ci sono alcuni personaggi che, nonostante la guerra, conservano intatta la loro umanità e restano fedeli al rispetto di quelle regole non scritte, che distinguono gli uomini dalle bestie: il capitano inglese, che, dopo aver liberato la principessa, le rimprovera la sua eccessiva crudeltà, e il suo connazionale tenente di vascello John Colter; tra i Francesi, il sottotenente Delareaux e, specialmente, il protagonista Manilio d’Ollecram, tanto poco condizionato da pregiudizi razziali, da innamorarsi di una principessa indiana, per di più appartenente a una tribù nemica. Già, l’amore… In questo romanzo funge da sottile e, spesso, sotterraneo filo conduttore, come se non avesse il coraggio o la forza di alzare la sua voce sul fragore degli spari, sui lamenti degli agonizzanti, sulle urla strazianti degli infelici torturati. Eppure c’è e, anche se bisbiglia pudicamente, si fa sentire in mezzo alla tragedia delle battaglie, degli agguati, degli inseguimenti, dei rancori, delle vendette sanguinose e in conclusione trionfa…, almeno fino alle ultime pagine.
Che dire del finale? Senz’altro giunge inatteso e ad alcuni può anche lasciare l’amaro in bocca, ma in definitiva produce nell’animo lo stesso sgomento di tutte le cose destinate tristemente a finire.

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