martedì 21 dicembre 2021

Natale d'altri tempi

Tra tutte le feste dell'anno - intendo quelle religiose, perché quelle politiche e civili sono delle emerite prese in giro -  il Natale è sempre stata la mia preferita. Quando ero bambino e poi ragazzetto, ero affascinato dalla sua atmosfera intima, suggestiva, misteriosa, che modificava veramente il comportamento un po' di tutti. Si sentiva sul serio l'attesa di qualche cosa, di un cambiamento, anche se poi il trascorrere dei giorni e l'inizio del nuovo anno a poco a poco ristabiliva la grigia normalità... Il Natale era una cosa seria, perché, almeno nei giorni immediatamente precedenti e successivi, si pensava all'effettivo significato di quella festività: Dio che s'incarna tra gli uomini per riscattarli. A differenza di oggi, tra presepe e albero di Natale riscuoteva più gradimento il presepe, Babbo Natale qui a Roma appariva ancora un'esotica usanza di paesi stranieri, perché era la Befana, che portava i regali ai bambini (proprio l'ultimo giorno delle vacanze di Natale... Che ingiustizia!). E poi c'erano le musiche natalizie: in tutte le strade del centro - io abitavo in una traversa di Via dei Giubbonari, a poca distanza da Campo de' Fiori - risuonavano le note toccanti delle zampogne, spesso accompagnate dai pifferi, quelli che con un altro nome sono anche chiamati ciaramelle. 

Le ciaramelle

(Giovanni Pascoli)

Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.

Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.

Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.

Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.

Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;

suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.

O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
consce del nostro breve mistero;

che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.

Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;

sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!


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