mercoledì 1 febbraio 2023

Omaggio a Fedro

 

Di Fedro è incerta la forma precisa del nome latino, dato che nei manoscritti la sua opera è intitolata così: Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae, cioè “Favole esopiane di Fedro liberto di Augusto”, tenendo presente che Phaedri può essere genitivo sia di Phaedrus che di Phaeder. Nacque in Tracia o in Macedonia tra il 20 e il 15 a. C.: due affermazioni, contenute nel prologo del suo III libro di favole, potrebbero giustificare l'una o l'altra patria. Portato a Roma come schiavo in giovane età e poi affrancato da Augusto, rimase nel palazzo imperiale da liberto. Sotto il principato di Tiberio, il prefetto del pretorio Seiano si sentì offeso da alcune sue favole, in cui colse allusioni malevole alla sua persona, e gli intentò un processo da cui il poeta uscì condannato (non sappiamo a quale pena). Comunque, seguitò a scrivere e morì probabilmente sotto Claudio intorno al 50 d. C. Di lui ci sono giunti cinque libri incompleti di Fabulae in versi (senari giambici), a cui vanno aggiunte le 32 favole scoperte nel XV secolo dall'umanista Niccolò Perotti e denominate per questo motivo Appendix Perottina. Fedro si ispira alle favole esopiche, piene di una bonaria saggezza popolare, ma presenta una visione della vita molto più amara e disincantata, espressione degli ideali e delle convinzioni della classe subalterna – gli schiavi e i liberti – nella capitale dell'Impero. I personaggi delle favole di Fedro sono in larga maggioranza animali, umanizzati dall'autore, e da lui innalzati a simboli viventi di qualche qualità, positiva o negativa: l'asinello = la laboriosità paziente ma talora la stupidità, la pecora = la timida sottomissione, la volpe = l'astuzia, il lupo = l'ingordigia, il leone = la superbia e la prepotenza, etc. Nelle considerazioni morali, che precedono o seguono le narrazioni, risuona frequente l'invito alla sopportazione dei propri mali, dato che ogni ribellione è inutile. Caratteristica delle sue poesie è la brevitas, che non si sofferma su particolari descrittivi, ma conduce la vicenda alla sua conclusione con efficace linearità, favorita anche dalla lingua semplice e dalla forma abbastanza curata, pregi che per tanti anni gli hanno permesso di essere considerato l'autore più adatto, su cui dovessero cimentarsi i ragazzi della Scuola Media nelle loro prime traduzioni dal latino.

Fedro ha avuto la sfortuna di non essere preso molto sul serio già fin dall'antichità. Ha cominciato a ignorarlo Seneca, che nella Consolatio ad Polybium, scritta forse nel 43 d. C. durante la sua relegazione in Corsica allo scopo di consolare Polibio, liberto dell'imperatore Claudio, per la morte del fratello, gli suggerisce di distrarsi scrivendo favolette, affermando che il genere favolistico non era mai stato trattato da autori latini, cosa che gli avrebbe concesso il merito dell'originalità. Marziale, invece, lo nomina nell' epigramma 20 del III libro, ma lo definisce inprobus, usando un aggettivo sulla cui interpretazione ancora si discute: io propendo per la traduzione che ne dà Concetto Marchesi, ossia malizioso, forse – suppongo – in riferimento alla scelta di Fedro di voler presentare alcuni comportamenti animaleschi come allusione alle nefandezze di certi potenti suoi contemporanei; nel contempo Marziale avrebbe messo in burla Fedro, che nelle sue Favole usa con predilezione quell'aggettivo.

Voglio proporre la lettura del solo prologo del I libro, perché credo che sia sufficiente per restituire a Fedro la dignità che gli compete:

Aesopus auctor quam materiam repperit,
hanc ego polivi versibus senariis.
Duplex libelli dos est: quod risum movet
et quod prudenti vitam consilio monet.
Calumniari si quis autem voluerit,
quod arbores loquantur, non tantum ferae,
fictis iocari nos meminerit fabulis.

Ho impreziosito in versi senari gli argomenti trovati da Esopo, che è l'inventore del genere. Due sono i meriti del mio libretto: che fa ridere e che propone suggerimenti di saggezza utili alla vita. Se poi qualcuno mi volesse criticare perché faccio parlare gli alberi, si ricordi che noi stiamo scherzando con favole inventate.

Alcune osservazioni.

Dopo il doveroso omaggio a Aesopus auctor, di cui Fedro non si considera un semplice traduttore in versi ma un rielaboratore della stessa materia, il poeta rivendica senza vanterie la propria originalità, consistente nell'avere abbellito il genere favolistico di Esopo trasferendolo in senari giambici. Da sottolineare una cosa spesso sfuggita a molti. Nei versi 3 e 4, contenenti il duplice merito del suo libretto, Fedro nobilita la sua produzione poetica facendo propria la lezione oraziana contenuta nei versi 343 – 344 dell'Epistula ad Pisones:

Omne tulit punctum qui miscuit utile dulci,

lectorem delectando pariterque monendo

Ha meritato il voto migliore chi ha unito l'utile al piacevole,

procurando al lettore divertimento e fornendo insieme saggi consigli”

Il riferimento finale alle piante parlanti è l'ovvia precisazione che alla fantasia tutto è permesso.

Post in evidenza

Festìna lente

Questo motto latino, tuttora molto usato, significa: affréttati lentamente, e pare che fosse pronunciato spesso dall'imperatore Augusto,...