sabato 1 ottobre 2022

Le fitte del rimorso

La seconda fase della poetica giovenaliana è caratterizzata da un'approfondita ricerca dell'interiorità, che, come ho già chiarito nei miei precedenti studi sul satirico aquinate (specialmente: “Quindi l'ira e le lacrime”, Youcanprint 2015), non ha niente a che vedere con lo spocchioso e maligno riso democriteo, il cui esempio Giovenale avrebbe seguìto – a detta di quasi tutti i critici – negli ultimi libri delle sue Satire. Tale ricerca è il filo logico che si snoda attraverso il IV e il V libro e raggiunge i suoi risultati più convincenti nelle satire X, XIII e XV. Nella X, la seconda per lunghezza di tutta la raccolta, i versi finali (346 – 366) presentano spunti notevolissimi di riflessione sull'essenza del divino, sul rapporto tra gli dei e gli uomini e sul modo più appropriato con cui affrontare la vita; nella XV, partendo dal commosso elogio del dono delle lacrime, fattoci dalla natura, il poeta giunge a un suo personale concetto di humanitas, che si ricollega a quello di Terenzio, ma lo perfeziona, introducendovi una maggiore e più persuasiva dose di empatia.

Tutta questa premessa ha il fine di presentare l'esordio della XIII satira (vv. 1 – 3), una palese testimonianza di quanto Giovenale stia scandagliando l'animo umano nella seconda fase della sua produzione poetica:


Exemplo quodcumque malo committitur, ipsi
displicet auctori. Prima est haec ultio, quod se
iudice nemo nocens absolvitur...

Qualunque azione, che possa valere da cattivo esempio, si ritorce contro lo stesso autore: questa è la prima punizione, perché nessun colpevole viene assolto, quando a giudicarlo è la sua coscienza...


Con il suo inconfondibile stile di incisiva eloquenza Giovenale definisce una volta per tutte la natura del rimorso. Rileggiamo le sue parole: “qualunque azione, che possa valere da cattivo esempio”. Notate bene: “qualunque”. Non bisogna pensare ai peggiori crimini, come uccidere, stuprare, rubare... no: “qualunque azione che possa valere da cattivo esempio”. Per esempio, la menzogna, la mancanza di rispetto, l'ingratitudine, qualunque azione, cioè, che danneggi o faccia soffrire un'altra persona; ma pure una non azione, perché anche omettere o non voler fare ciò che si potrebbe e si dovrebbe risulta alla fine un'espressione di malevolenza nei confronti di chi si aspettava quell'azione e ci contava. Il giudizio della propria coscienza è implacabile e tormenta nell'intimo l'individuo, sebbene non voglia ammetterlo apertamente.

Un'ulteriore dimostrazione di quanto sia utile e formativa la lettura di Giovenale.

Post in evidenza

Festìna lente

Questo motto latino, tuttora molto usato, significa: affréttati lentamente, e pare che fosse pronunciato spesso dall'imperatore Augusto,...