sabato 21 gennaio 2023

Orazio lettore di Omero

Ho sempre ritenuto che le Epistole fossero il capolavoro di Orazio, tanto è vero che ad esse ho dedicato il mio primo studio oraziano del 1977, poi riveduto, corretto e trasformato in una pubblicazione: Tanti saluti da Orazio, un ebook composto nel 2014, di cui feci stampare anche un certo numero di copie cartacee per esclusivo uso personale. L'epistola che presento oggi – la seconda del I libro – non fa parte di quelle da me tradotte in versi e contenute nella suddetta opera, ma non per qualche suo demerito, anzi, ritornando a studiarla di recente, ho provato molta soddisfazione e la sua rilettura ha rinsaldato in me il profondo interesse per la spiritualità del poeta venosino. Essa è indirizzata a Lollio Massimo, che lo scrittore chiama confidenzialmente Massimo Lollio, premettendo il cognomen al nomen gentilicium, un giovane studente di retorica a cui dedicherà anche l'epistola XVIII. La sua struttura è semplice, perché si può dividere schematicamente in tre parti.
La prima (vv. 1 – 31) è un'interpretazione allegorica in chiave morale dei poemi omerici, cosa che non ci deve sorprendere, se consideriamo che nell'Epistola ai Pisoni – la rinomata Ars Poetica – Orazio afferma:
Omne tulit punctum qui miscuit utile dulci,
lectorem delectando pariterque monendo
“Ha meritato il voto migliore chi ha unito l'utile al piacevole,
procurando al lettore divertimento e fornendo insieme saggi consigli”
(Ars Poetica, 343 – 344)
Nel caso della poesia omerica il piacevole è rappresentato dalla bella forma, le immagini suggestive, il racconto avventuroso e avvincente, mentre l'utile è l'insegnamento morale che se ne ricava.
La seconda (vv. 32 – 63) è una calorosa esortazione alla saggezza, un brano prescrittivo, in cui il poeta impartisce al ragazzo dei sani precetti morali, mettendolo in guardia contro i peggiori difetti: l'avidità, l'incontentabilità, la brama di piaceri, l'invidia, l'ira. Per forza di cose questa sezione dell'epistola è ricca di apoftegmi diventati famosi. Ne cito alcuni:
Chi comincia, è già a metà dell'opera; abbi il coraggio di essere saggio
Se il vaso non è puro, puoi versarci qualunque cosa: prenderà d'aceto
È nocivo un piacere acquistato con dolore
L'ira è una pazzia di breve durata
La terza parte (vv. 64 – 71) è la conclusione pedagogica, che riprende il celebre tema dominante della prima satira del I libro, ossia quello del giusto mezzo:
est modus in rebus, sunt certi denique fines,
quos ultra citraque nequit consistere rectum
“c'è una misura nelle cose, ci sono insomma dei confini ben precisi,
al di qua e al di là dei quali non può consistere ciò che è giusto.
(Satire I, 1, vv. 106 – 107)
Buona lettura!
Orazio, Epistole, I, 2
Caro Massimo Lollio, mentre tu a Roma lo declamavi, io a Preneste mi sono riletto il cantore della guerra di Troia, che spiega in maniera più chiara e più convincente di Crisippo e di Crantore che cosa sia il bene, che cosa il male, che cosa l'utile e il suo contrario. Ascolta per quale motivo me ne sia convinto, a meno che non ti tenga occupato qualche altro impegno. Il racconto mitico, in cui si narra che la Grecia fu logorata da una lunga guerra con i barbari, ci presenta la passionalità sfrenata dei re stolti e dei popoli. Antenore ritiene giusto eliminare la causa della guerra; ma Paride? Afferma che nessuno può costringerlo a regnare al sicuro e a vivere tranquillo. Nestore si dà da fare per sanare i contrasti tra il Pelide e l'Atride; l'uno è bruciato dall'amore, ma entrambi sono infiammati parimenti dall'ira. Qualunque delirio agiti i loro re, lo scontano gli Achei. All'interno e all'esterno delle mura di Troia gli uomini sono traviati da ribellioni, inganni, delitti, da passioni sregolate e ira. Infine come utile esempio di ciò che possano la virtù e la saggezza ci viene proposto Ulisse, che, artefice della caduta di Troia, conobbe – saggio – le città e i costumi di popoli diversi e, mentre organizzava il ritorno per sé e per i suoi compagni, dovette sopportare tante difficoltà per l'ampia distesa del mare, senza essere sommerso dalla tempesta delle sventure. Conosci i canti delle Sirene e le bevande di Circe; e se stolto e voglioso le avesse bevute con i suoi compagni, diventato ripugnante e abbrutito, sarebbe caduto in balìa di quella meretrice, sarebbe vissuto come un cane immondo o una scrofa amica del fango. Noi siamo una folla anonima, nati per riempirci la pancia, siamo i pretendenti di Penelope e i bellimbusti di Alcinoo, la gioventù indaffarata a lisciarsi la pelle più del dovuto, a cui piaceva dormire fino a mezzogiorno e portarsi appresso l'angoscia finché durava il suono della cetra. [v. 31]
Per sgozzare un uomo i delinquenti si alzano nel cuore della notte; e tu non ti sveglierai, per salvare te stesso? Eppure, se non vorrai farlo da sano, dovrai correre da idropico; e se prima dell'alba non ti farai portare un libro con una lucerna, se non rivolgerai l'animo agli studi e alle attività onorevoli, non riuscirai a dormire e sarai tormentato dall'invidia e dall'amore. Infatti, perché ti affretti a togliere il granello di polvere che disturba il tuo occhio, ma se qualche affanno ti macera l'animo, rinvii la cura al prossimo anno? Chi comincia, è già a metà dell'opera; abbi il coraggio di essere saggio, comincia. Chi rimanda l'ora di vivere rettamente, fa come il campagnolo, che aspetta che il fiume scorra via; ma quello scorre e scorrerà senza posa per tutto il tempo. Si cerca la ricchezza e una moglie benestante per mettere al mondo dei figli, e si dissodano con l'aratro le foreste incolte; chi si accontenta di ciò che gli è toccato in sorte, non desideri niente di più. Non la casa e la terra, non un mucchio di denaro e d'oro hanno mai tolto la febbre dal corpo ammalato del loro padrone, né le angosce dall'animo; bisogna che il proprietario stia in buona salute, se progetta di godere tutti i beni che ha ammassato. A chi desidera o teme, la casa e le sostanze sono utili così come i quadri al cisposo, i pannicelli caldi alla gotta, le cetre alle orecchie doloranti per la sporcizia che vi si è accumulata. Se il vaso non è puro, puoi versarci qualunque cosa: prenderà d'aceto. Disprezza i piaceri: è nocivo un piacere acquistato con dolore. Chi è avido, manca sempre di qualche cosa: poni un limite preciso ai tuoi desideri. L'invidioso dimagrisce osservando l'abbondanza altrui: i tiranni siciliani non escogitarono un tormento più doloroso dell'invidia. Chi non è in grado di controllare l'ira, vorrà che non sia stato fatto ciò a cui l'hanno spinto il risentimento e la collera, mentre smania di sfogare con la violenza l'odio insoddisfatto. L'ira è una pazzia di breve durata: sii tu a governare il tuo animo, che, se non obbedisce, comanda; tu tienilo a freno con le briglie o, meglio, con una catena. [v.63]
Quando il cavallo è docile, perché in tenera età, l'istruttore gli insegna a seguire la strada su cui lo guiderà il cavaliere; il cane da caccia, dal momento in cui ha latrato nel cortile contro una pelle di cervo, ancora cucciolo cerca le prede nei boschi; ora, o ragazzo, accogli nell'animo puro gli insegnamenti, ora offriti ai migliori; l'anfora nuova conserverà a lungo l'odore del liquido che l'ha riempita la prima volta. Ma se indugi o mi sorpassi di corsa, né aspetto uno lento, né rincorro chi mi precede.

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