mercoledì 16 settembre 2020

Gli anni che non hai

L'argomento filosofico, che interessò maggiormente ai Latini e su cui scrissero pagine profonde e suggestive, è senza dubbio il tempo. Orazio e Seneca, pur così diversi nell'indole e nella concezione della vita, ci hanno lasciato riguardo a questo tema riflessioni e sentenze immortali e, talora, non troppo dissimili tra loro.
Il brano, che oggi voglio proporre alla vostra attenzione è tratto dal libro VI della Naturales quaestiones di Seneca (32, 10 - 11), dedicato all'analisi e all'interpretazione del fenomeno dei terremoti. Dato il personaggio - un grande filosofo stoico -, qualunque argomento non può non diventare lo spunto per valutazioni morali, tanto più che quest'opera è indirizzata all'amico Lucilio, lo stesso destinatario delle famose Epistulae, e, pertanto, è quasi inevitabile che sconfini in considerazioni etiche.

Sono ore quelle che perdiamo; supponi che siano giorni o mesi o anni: noi li perdiamo - è vero - ma comunque erano destinati a finire. Ti chiedo: che differenza fa se riuscirò a raggiungerli? Il tempo scorre via e abbandona quelli che ne sono più avidi; non mi appartiene né il futuro né il passato: resto appeso a un attimo del tempo che fugge, e conta molto avere avuto un'esistenza, anche se di breve durata
Lelio, quel famoso saggio, a un tale che diceva: "Ho sessanta anni", rispose argutamente: "Intendi quei sessanta che non hai (più)." E' possibile che non riusciamo a capire la condizione inafferrabile della vita e la sorte del tempo, che non ci appartiene mai, neppure dal fatto che teniamo il conto degli anni perduti?

Al giorno d'oggi avremmo bisogno di molti politici chiacchieroni in meno e di qualche Seneca in più...   

  

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