mercoledì 2 febbraio 2022

Da Swift a... Giovenale

Uno dei classici moderni da me più apprezzati è il romanzo "I viaggi di Gulliver", indegnamente retrocesso nel genere della letteratura per l'infanzia. È stato un escamotage dei benpensanti, sostenitori del “politicamente corretto” e delle “magnifiche sorti e progressive”, per annacquare – se non per annullare – lo spirito corrosivo e velenoso di Jonathan Swift, mettendo in ombra la sua satira aspra e tagliente, la sua visione impietosa della società, assolutamente irredimibile. Swift è stato un geniale discepolo del grande Giovenale e, come tutti gli alunni di valore, ha superato il maestro, almeno dal punto di vista dell'estro e della fantasia. Lilliput, con la sua popolazione di minipigmei, è uno schiaffo all'umanità – perenne – gonfia e tronfia, che non perde l'occasione per vantarsi di meriti pseudoculturali, pseudopolitici, pseudoreligiosi, pseudo...tutto, perché ha perduto la coscienza dell'autenticità. Ha smarrito il senso della sua identità, ma non si interroga, per cercare di recuperarla – no: sarebbe indice di umiltà – bensì, si reinventa un'identità posticcia, che, data la volubilità del suo autore, oggi è così e domani... chi lo sa?
Vediamo che cosa ne pensava il suo illustre predecessore, il satirico aquinate.
Nella Satira XV egli descrive uno scontro tra due popolazioni egiziane, che culmina con un aberrante episodio di cannibalismo. Giovenale, considerando l'energia fisica impiegata dalle due parti nel combattimento, osserva che siamo ben lontani dalla forza erculea messa in mostra dagli eroi, che combatterono sotto le mura di Troia. E nei versi 69 – 71 spiega:

Nam genus hoc vivo iam decrescebat Homero,
terra malos homines nunc educat atque pusillos;
ergo deus, quicumque aspexit, ridet et odit.
Infatti il genere umano già andava indebolendosi, mentre Omero era ancora vivo: ora la terra fa nascere uomini malvagi e meschini; pertanto un dio che li guardi – chiunque egli sia –, ride e li odia.

Da notare che Giovenale usa il termine pusillos, che, mentre denigra il loro aspetto fisico, indicando una corporatura minuta, minuscola (lillipuziani?!), svaluta anche le loro – presunte – doti intellettuali e morali (infatti la mia traduzione: “meschini” è ambivalente). Inoltre, utilizza la parola “odia” non “disprezza”, perché, se un dio disprezza la meschinità umana, se ne infischia altamente, ma se la odia, farà di tutto per fargliela pagare. È la phthònos tòn theòn [= l'invidia degli dei], presente nelle Storie di Erodoto e in tante tragedie greche.

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