venerdì 14 ottobre 2022

Il primo amore

Tra le tante immagini femminili, di cui Orazio volta per volta si mostra invaghito nelle sue Odi, sarebbe un vano tentativo provare a individuare il suo primo amore, o, se preferiamo, il primo oggetto del suo desiderio erotico. Ho corretto la parola amore, perché essa presuppone uno slancio appassionato, che va al di là della pura sensualità e del malizioso e allusivo gioco intellettuale, a cui è riducibile il rapporto di Orazio con le donne “amate” cantate nelle sue poesie. L'ho definito un vano tentativo, perché il “primo amore” dovrebbe essere collocabile nella sua prima giovinezza, anteriormente all'attività poetica o, almeno, alla composizione delle Odi. E quindi il campo si restringe a un solo nome: Cìnara, l'unica ragazza cantata dal poeta non durante la relazione sentimentale in atto, come le altre donne presentate nelle Odi, ma evocata negli anni pensosi della sua maturità come oggetto di una dolente nostalgia, di un rimpianto così cocente da farmi pensare che questa volta – sì – potrei permettermi di usare la parola “amore”.
Cìnara, come i nomi di tutte le altre donne oraziane, è uno pseudonimo, o – meglio – un nome parlante, scelto apposta dal poeta per indicare una particolarità, che caratterizza e distingue ogni singola immagine muliebre. Sono tutti nomi derivati dal greco, di cui presento alcuni esempi: Cloe = erba tenera e verde, per indicare l'età giovane della fanciulla; Lalage = la chiacchierina; Leuconoe = animo candido, cioè una ragazza dall'animo semplice e ingenuo; Fidile = la risparmiatrice; Glicera = la dolce; etc.
Anche Cìnara è un nome parlante, perché in latino cinara significa carciofo, l'ortaggio dalle foglie spinose, che avvolgono un interno tenero e commestibile. Si tratta, quindi, di una metafora, per indicare una giovane che nascondeva un cuore sensibile e dolce sotto un atteggiamento esteriore spigoloso e scontroso. La lettura dei versi dedicati a lei da Orazio chiarirà ogni dubbio in proposito. I due brani più antichi appartengono al I libro delle Epistole, pubblicato nel 20 a. C. Nel primo il poeta si rivolge a Mecenate, per giustificare la sua frequente assenza da Roma a favore della residenza in Sabina, nella villetta donatagli nel 33 a. C. dallo stesso ministro di Ottaviano:

Che se pretendi che io non mi allontani mai da te, restituiscimi il corpo robusto, i capelli neri che mi nascondevano parte della fronte, restituiscimi le paroline dolci, le risate garbate e l'amarezza per aver visto quella sfacciata di Cìnara piantarmi in asso tra una bevuta e l'altra (Epistole, I, 7, vv. 26 – 28).

Nel secondo, indirizzato al fattore del suo podere, che smania di trasferirsi in città, spiega perché ami tanto ritirarsi in campagna, trascurando i presunti agi e divertimenti offerti da Roma:

A me, che un tempo mi pavoneggiavo per le mie toghe raffinate e i capelli impomatati, che iniziavo a bere limpido Falerno fin da mezzogiorno e che – lo sai bene – piacqui all'avida Cìnara senza farle un regalo, adesso basta una cena frugale e farmi un sonno sull'erba vicino a un ruscello (Epistole, I, 14, vv. 32 – 35).

Gli altri due brani, invece, fanno parte del IV libro delle Odi, pubblicato nel 13 a. C.:

Dopo una lunga tregua, o Venere, mi fai di nuovo guerra? Ti prego, ti prego, risparmiami! Non sono più quello che ero sotto il regno della buona Cìnara (Odi, IV, 1, vv. 1 – 4).

Nel secondo rinfaccia la vecchiaia e la bellezza sfiorita a una sua ex fiamma, Lice, che aveva preso il posto di Cìnara, morta prematuramente:

Dove è finito il tuo fascino, ohimè, dove il tuo colorito, dove il tuo portamento aggraziato? Che cosa mantieni ancora di quella, di quella che irradiava amore, che mi aveva strappato a me stesso, tu, trionfante dopo Cìnara, tu rinomata e immagine di ogni seduzione? Ma i fati concessero a Cìnara una breve vita... (Odi, IV, 13, vv. 17 – 23).

Solo chi non conosce veramente Orazio, o non ha avuto la capacità e la pazienza di penetrare nel suo animo, può credere ed affermare che abbia avuto un cuore arido e che non abbia mai amato sul serio alcuna donna. Il fantasma di Cìnara, evocato nostalgicamente nei suoi versi, è qui a dimostrarci il contrario.

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