domenica 6 marzo 2022

Alla ricerca della (perduta) "humanitas"

La cultura latina ci ha lasciato in eredità il concetto di “humanitas”, che, unitosi ai princìpi del cristianesimo, ha costituito per secoli il fondamento – spesso disatteso, attualmente sgradito – della civiltà europea. Vale la pena rileggerne un'originale e persuasiva interpretazione, contenuta in un passo della XV satira di Giovenale [vv. 131 – 158], un autore latino che non gode i favori della critica accademica e che viene visto come il fumo negli occhi dall'odierna cultura progressista, poiché essa gli imputa a colpa alcuni “peccati capitali” della civiltà moderna: la misoginia, l'omofobia e la xenofobia. Nonostante tutto ancora ha molte cose da insegnarci...

“… Mollissima corda
humano generi dare se natura fatetur,
quae lacrimas dedit. Haec nostri pars optima sensus.
plorare ergo iubet causam dicentis amici
squaloremque rei, pupillum ad iura uocantem
circumscriptorem, cuius manantia fletu
ora puellares faciunt incerta capilli.
Naturae imperio gemimus, cum funus adultae
uirginis occurrit uel terra clauditur infans
et minor igne rogi. quis enim bonus et face dignus
arcana, qualem Cereris uolt esse sacerdos,
ulla aliena sibi credit mala? Separat hoc nos
a grege mutorum, atque ideo uenerabile soli
sortiti ingenium diuinorumque capaces
atque exercendis pariendisque artibus apti 
sensum a caelesti demissum traximus arce,
cuius egent prona et terram spectantia. Mundi
principio indulsit communis conditor illis
tantum animas, nobis animum quoque, mutuus ut nos
adfectus petere auxilium et praestare iuberet, 
dispersos trahere in populum, migrare uetusto
de nemore et proauis habitatas linquere siluas,
aedificare domos, laribus coniungere nostris
tectum aliud, tutos uicino limine somnos
ut conlata daret fiducia, protegere armis 
lapsum aut ingenti nutantem uolnere ciuem,
communi dare signa tuba, defendier isdem
turribus atque una portarum claue teneri.”


La natura, donandoci le lacrime, rivela di aver dato al genere umano dei cuori molto teneri. Questa è la parte migliore della nostra sensibilità. Essa ci fa compiangere il miserevole aspetto di un amico costretto a difendersi in tribunale, il pupillo che cita in giudizio il tutore che l'ha raggirato, mentre i suoi lunghi capelli da fanciulla ne rendono incerti i lineamenti bagnati di lacrime. È un impulso naturale, che ci spinge al pianto, se c'imbattiamo nel corteo funebre di una ragazza ormai pronta per le nozze o assistiamo alla sepoltura di un bimbo ancora troppo piccolo per le fiamme del rogo. Infatti, quale persona dall'animo buono e degna di portare la fiaccola dei Misteri, come prescrive il sacerdote di Cerere, può credere che i dolori altrui le siano estranei? Questo ci divide dal gregge degli animali muti e perciò, avendo ottenuto in sorte noi soli il venerabile ingegno ed essendo capaci di concepire il divino e adatti ad esercitare e a produrre le arti, abbiamo ricevuto quella sensibilità inviataci dal regno celeste, della quale sono privi gli animali curvi al suolo e che fissano la terra.
All'inizio del mondo il creatore di tutte le cose concesse a loro soltanto la vita ma a noi anche la ragione e i sentimenti, affinché un reciproco affetto ci inducesse a chiedere e a prestare aiuto, a riunire in un popolo quelli che erano dispersi, a migrare dall'antico bosco e a lasciare le foreste abitate dagli antenati, a unire un altro tetto alla nostra abitazione, in modo che la fiducia degli uni negli altri rendesse sicuri i sonni per la vicinanza delle soglie, ci spingesse a proteggere con le armi un cittadino caduto o barcollante per una grave ferita, a dare segnali con la tromba comune, ad essere difesi dalle stesse torri e a stare al riparo delle porte chiuse da una sola chiave.

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