lunedì 6 luglio 2020

Storia semiseria di un 7- in latino

Era destino che io studiassi il latino (e il greco) e che poi li insegnassi. Ero in età prescolastica - avevo appena 5 anni - quando mi si manifestarono alcuni segnali, che io allora non compresi, ma che furono interpretati dai miei congiunti come il futuro percorso della mia vita.
Fino ai 6 anni e mezzo, quando in prima elementare fui operato alle tonsille, ero spesso malaticcio e inappetente, ed ero costretto a ricorrere a iniezioni di penicillina. Stavo a letto in uno dei frequenti periodi di indisposizione e per passare il tempo, leggiucchiavo un libretto. A cinque anni, prima di andare a scuola, io già sapevo leggere, perché me l'aveva insegnato un'amica di famiglia, che era appunto una maestra. Il libretto che leggevo era quello che si usava abitualmente per la messa, che a quei tempi era tutta rigorosamente in latino. A me piaceva leggere ad alta voce quelle strane parole, di cui ovviamente non comprendevo il significato, ma il cui suono mi affascinava. Tutti i miei parenti, che si accorgevano di quel mio strano comportamento, se ne meravigliavano e mi pronosticavano un futuro da latinista. Nello stesso periodo il medico di famiglia, che seguiva il decorso delle mie continue tonsilliti, una volta mi chiese scherzando che cosa avrei voluto fare da grande e io gli risposi facendogli la linguaccia. Il gesto dispettoso di mostrargli la lingua fu da lui interpretato in modo inatteso: infatti disse ai miei che io sarei diventato un professore di lingue, cosa che fu subito collegata alla mia istintiva e spontanea predilezione per il latino, e quindi... non è poi tanto strano che io mi sia trovato a insegnare per tanto tempo e con tanta soddisfazione (mia e di certi miei allievi) proprio due lingue come il latino e il greco.
Al liceo classico non ero il primo della classe, perché stentavo a prendere la sufficienza in fisica, in chimica, in storia e in filosofia (con il prof di storia e filosofia c'era una profonda e motivata antipatia reciproca), mentre andavo bene in italiano e matematica e benissimo in storia dell'arte. In latino e in greco ero il migliore in assoluto e nessuno riusciva a starmi alla pari, anche tra le ragazze (ce n'erano due molto brave in tutte le materie). Quando il professore ci dava delle versioni di latino o greco da tradurre a casa, per sicurezza i più bravi e le più brave mi chiedevano di confrontare le loro traduzioni con le mie, mentre i meno bravi e le meno brave mi chiedevano di poterle scopiazzare. I voti che prendevo in latino e in greco oscillavano tra l'8 e il 9, mentre gli altri più bravi (maschi o femmine) stavano tra il 7 e l'8, come in tutte le altre materie, in cui, a differenza mia, prendevano però anche 9.
Il professore di latino e greco in III liceo ci faceva esercitare in classe in modo particolare: faceva trascrivere sulla lavagna un testo greco, tratto dal libro delle versioni greche, e voleva che noi lo traducessimo seduta stante non in italiano, ma in latino. Ovviamente, chi veniva chiamato a copiare la versione greca sulla lavagna, era anche costretto a tradurla in latino. Il giorno di una simile esercitazione i meno bravi potevano stare tranquilli, perché erano sicuri di non essere mai chiamati, ma i più bravi e le più brave tremavano, perché sapevano che la vittima di turno sarebbe stata scelta tra loro, esponendosi al rischio di una brutta figura E allora tutti i bravi e tutte le brave, si giravano verso di me con lo sguardo implorante, invitandomi ad offrirmi come volontario, cosa che io facevo molto volentieri, sia per ottenere un sorriso di riconoscenza dalle belle ma insicure latiniste e greciste, sia perché mi divertivo a tradurre simultaneamente dal greco al latino e ci riuscivo bene.
Nei compiti in classe di latino e greco era impossibile copiare, perché il professore dava quattro versioni diverse, per cui non c'era nessuno che avesse una versione uguale a un compagno adiacente, che stesse davanti, dietro, a fianco o in diagonale. Inoltre cambiava la disposizione degli alunni, collocando i più bravi nelle prime file dei banchi, in modo da poterli tenere sott'occhio, casomai volessero passare la traduzione a qualcuno lontano.
Una volta per un compito in classe di III liceo, si trattava di una versione dal latino in italiano (allora c'era pure quella dall'italiano in latino), il professore mi aveva messo nel banco di fronte alla cattedra e al mio fianco, sulla destra, aveva fatto sedere XXX, una delle due più brave, la più carina e simpatica, una ragazza molto studiosa ma molto semplice, che non si dava arie, mentre l'altra, anch'ella un'ottima ragazza, spesso assumeva degli atteggiamenti da intellettualoide. Tra me e XXX c'era un'istintiva simpatia reciproca, ma avevamo entrambi un carattere riservato e di poche parole.
Dopo un po' eravamo tutti e due concentrati sui nostri testi, quando casualmente mi accorsi che, accavallando le gambe, il suo grembiule (le ragazze allora portavano un grembiule nero) le era salito insieme al bordo della gonna, lasciando scoperte le sue cosce per non più di una dozzina o una quindicina di centimetri. Da allora persi la concentrazione e fui attratto più dalle sue gambe che dallo studio della versione. Insomma non fui all'altezza delle mie solite prestazioni e invece di un 8, di un 8 e mezzo o di un 9 presi un modesto 7-. Ma fui contento lo stesso...     

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