venerdì 11 febbraio 2022

A che serve il latino?

A volte chi ha studiato il latino, anche in modo abbastanza approfondito, per una malintesa forma di salamonica (pardon: salomonica) imparzialità o per un meschino tentativo di "captatio benevolentiae" nei confronti dei profani rinnega idealmente tanti anni di studio - forse svolto malvolentieri - e sostiene da vero esperto (lui sì che se ne intende...) l'inutilità di questa lingua, troppo (!) morta per essere ancora utile a qualche cosa. Ma chi ha stabilito che il latino debba servire? E' forse una domestica, che ci serve il pranzo a tavola? E' un martello, una tenaglia, un cacciavite, uno scalpello, che ci possa servire nei lavoretti di bricolage? E' una pompa di benzina, con cui fare il pieno? No, forse "utile" è una parola sbagliata: io lo definirei, piuttosto: prezioso. Però, bisogna inquadrare bene l'oggetto della discussione, altrimenti può capitare che mentre uno con il dito indica la luna, l'interlocutore furbetto sottolinei con sussiego che l'unghia dell'indice è leggermente annerita.
Alla ricerca di un potente alleato citerò una pagina memorabile di Antonio Gramsci, tratta dai "Quaderni dal carcere":

"Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale. La lingua latina o greca si impara secondo grammatica, un po’ meccanicamente: ma c’è molta esagerazione nell’accusa di meccanicità e aridità. Si ha che fare con dei ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza, di compostezza fisica, di concentrazione psichica in determinati oggetti. Uno studioso di trenta-quarant’anni sarebbe capace di stare a tavolino sedici ore filate, se da bambino non avesse «coattivamente», per «coercizione meccanica» assunto le abitudini psicofisiche conformi? Se si vogliono allevare anche degli studiosi, occorre incominciare da lì e occorre premere su tutti per avere quelle migliaia, o centinaia, o anche solo dozzine di studiosi di gran nerbo, di cui ogni civiltà ha bisogno. Il latino non si studia per imparare il latino, si studia per abituare i ragazzi a studiare, ad analizzare un corpo storico che si può trattare come un cadavere ma che continuamente si ricompone in vita. Naturalmente io non credo che il latino e il greco abbiano delle qualità taumaturgiche intrinseche: dico che in un dato ambiente, in una data cultura, con una data tradizione, lo studio così graduato dava quei determinati effetti. Si può sostituire il latino e il greco e li si sostituirà utilmente, ma occorrerà sapere disporre didatticamente la nuova materia o la nuova serie di materie, in modo da ottenere risultati equivalenti di educazione generale dell’uomo, partendo dal ragazzetto fino all’età della scelta professionale. In questo periodo lo studio o la parte maggiore dello studio deve essere disinteressato, cioè non avere scopi pratici immediati o troppo immediatamente mediati: deve essere formativo, anche se «istruttivo», cioè ricco di nozioni concrete. Nella scuola moderna mi pare stia avvenendo un processo di progressiva degenerazione: la scuola di tipo professionale, cioè preoccupata di un immediato interesse pratico, prende il sopravvento sulla scuola “formativa” immediatamente disinteressata. La cosa più paradossale è che questo tipo di scuola appare e viene predicata come “democratica”, mentre invece essa è proprio destinata a perpetuare le differenze sociali."

Non ci sarebbe niente da aggiungere a un discorso così meditato e persuasivo, però, dato che sono stato io ad iniziare questa apologia del latino, permettetemi anche di concluderla. Nella prefazione a un mio libro dedicato alle Epistole di Orazio, intitolato: "Tanti saluti da Orazio" (Kimerik 2014, ebook), a un certo punto mi esprimevo così:
"A che serve lo studio del latino e del greco? Questa domanda mi ha perseguitato per tanti anni - dopo la maturità classica mi sono laureato in Lettere antiche - e il più delle volte mi ha lasciato nell'imbarazzo: come rispondere in modo convincente a chi ignora l'argomento del proprio quesito? Oltre tutto simili parole sono accompagnate di solito da un sorrisetto di superiorità, che anticipa la risposta già implicita nella domanda: <A niente!>. La vita mi ha insegnato che - se c'è - la verità consiste più nel fare che nel dire... Pertanto, se riuscirà a destare un minimo interesse o a suscitare anche un solo fuggevole sorriso, la presente opera sulle Epistole di Quinto Orazio Flacco sarà stata - ne sono convinto - la migliore risposta."

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