mercoledì 19 agosto 2020

Sondaggio in arrivo!

Spero che abbiate notato qualche cambiamento, sia nel titolo, che significa: le voci/le espressioni/le sentenze più famose degli antichi (ovviamente: latini), sia nella struttura della facciata principale, sul cui lato destro ho aggiunto "Quattro sentenze da meditare", la rubrica "Post in evidenza" e il logo di Blogger. Ho dovuto modificare il titolo per evitare la sovrapposizione con un titolo analogo, che, essendo molto precedente, indirizzava su di sé qualunque ricerca.
Fatta questa doverosa premessa, passo all'effettivo argomento di questo post.
Come ogni blog che si rispetti, anche il mio ogni tanto proporrà dei sondaggi. Questo è il primo e riguarda le quattro sentenze cui ho accennato poco prima. Poiché sono scritte in latino, le tradurrò in italiano, ne farò una breve ma chiara presentazione e poi le sottoporrò al giudizio delle gentili lettrici e dei gentili lettori. Le passerò in rassegna nell'ordine in cui le ho disposte, che non corrisponde minimamente a un ordine di gradimento, né diretto né inverso.

A. Se vuoi godere di un piacere, devi usarlo raramente (Giovenale).
Si tratta dell'ultimo verso (il 208) della satira XI di Decimo Giunio Giovenale, in cui il poeta esprime il concetto della metriòtes, il senso della misura, già celebrata da Orazio nella sua I satira con l'espressione: est modus in rebus (= c'è una misura nelle cose). Chi conosce superficialmente Giovenale, resterà sorpreso, perché in questa sentenza, come in tutta la produzione finale (satire X - XVI), si attenua l'aspra e furente indignatio, che aveva animato almeno le prime sei e che molti con un giudizio parziale e riduttivo hanno visto e vedono come sua caratteristica peculiare.

B. Pensa che ogni giorno sia spuntato per te come se fosse l'ultimo: ti giungerà gradita l'ora che non avrai sperato di vivere (Orazio).
Sono i versi 13 - 14 dell'epistola IV del 1° libro, indirizzata all'amico poeta Albio Tibullo, angosciato o per una delusione d'amore o per un presentimento di morte imminente (morirà giovane più vicino ai trenta che ai quaranta anni).
Uno dei tanti temi, trattati da Orazio nelle sue diverse raccolte poetiche, è lo sconforto davanti alla fuga del tempo, il timore che agita la sua anima, quando egli pensa al futuro, ignorando se esso ci sarà e, in caso positivo, come potrà essere. Questa forma di cronofobia viene fronteggiata dal poeta con una tattica difensiva centrata sulla valorizzazione del presente (carpe diem!) e sul pensiero paradossale che la vita sia una serie di ultimi giorni, nella quale ciascuno di quelli successivi sia una lieta e inattesa sorpresa: un insperato giorno in più da vivere. 

C. Non cercarti al di fuori di te (Persio)
Questo emistichio (= mezzo verso), collocato nella seconda metà del settimo esametro della prima satira non è stato apprezzato come meriterebbe. Infatti, anche i filologi estimatori di Persio tendono a banalizzarlo, ponendosi una sterile alternativa, che non conduce a grandi esiti interpretativi: tenendo presente che il testo latino è nec te quaesiveris extra, il futile dilemma è se considerare il te come complemento oggetto di quaesiveris (= non cercarti al di fuori), oppure in dipendenza di extra (= non cercare [chi? che cosa?] al di fuori di te). Io preferisco sdoppiare il te e collegarlo sia al verbo che alla preposizione: "non cercarti al di fuori di te". In questo modo otteniamo un pensiero molto profondo, che ci invita alla ricerca dell'autocoscienza. Si tratta dell'esigenza di entrare in possesso della nostra identità, unica e irripetibile, senza tener conto dei diversissimi giudizi emessi dagli altri sulla nostra natura e sul nostro comportamento; si pone altresì il problema di scavare nel nostro animo per cercare di capire chi siamo veramente e quale sia il dovere che siamo chiamati a svolgere nella vita, quale sia - cioè - la nostra vocazione.

D. Se ci rifletti bene, la vita è tutta un naufragio (Petronio)
L'amara considerazione, contenuta nel capitolo CXV del Satyricon, vede nella presenza ineliminabile della morte l'annullamento di ogni valore, di ogni scopo che renda la vita degna di essere vissuta. L'assurdità dell'esistenza concepita da Petronio, che riprende alcune dolenti riflessioni lucreziane e anticipa di diciannove secoli il tema analogo svolto da Albert Camus, viene ribadita verso la fine dello stesso capitolo: qualunque cosa farai, il punto di arrivo sarà sempre lo stesso.

Che cosa dovete fare?
Vorrei che nello spazio dedicato ai commenti, indicaste le lettere corrispondenti ai brani (A - B - C - D) nell'ordine di gradimento, dal più al meno, in modo che io possa stilarne una classifica in ordine gerarchico. Sarebbe molto gradito, e in linea con la finalità di un blog (che dovrebbe basarsi sulla collaborazione e sull'interazione), se esprimeste anche uno o più giudizi. Naturalmente voti o giudizi anonimi non saranno presi in considerazione.
Io ho fatto il mio: adesso vi passo la palla.   
   

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