giovedì 27 ottobre 2022

Sulle orme di Telemaco

I primi quattro libri dell'Odissea costituiscono la cosiddetta Telemachia, perché presentano i viaggi di Telemaco impegnato a raccogliere notizie del padre Ulisse, assente da Itaca ormai da troppo tempo. La ricerca della figura paterna, sia materialmente, come in questo caso, sia soltanto nel ricordo, non è infrequente nel campo letterario: basti pensare al nostalgico e riconoscente elogio del padre, fatto da Orazio nella VI satira del I libro.
Esistono, però, anche delle situazioni in cui se ne cerca un surrogato in qualcuno che abbia svolto un ruolo fondamentale nella propria vita, come un maestro spirituale, capace di forgiare il carattere e la mente dell'allievo. Si può forse non pensare al XV canto dell'Inferno, in cui Dante presenta Brunetto Latini con affetto (“la cara e buona immagine paterna”) e gratitudine (“m'insegnavate come l'uom s'etterna”)?
Vorrei presentare due casi vagamente analoghi tratti dalla Letteratura latina: si tratta di due poeti entrambi interessati alla filosofia, pur se in ambiti diversi. Il primo è l'epicureo Tito Lucrezio Caro, che nel suo poema De rerum natura più volte elogia il suo maestro Epicuro. È un maestro che egli non ha mai conosciuto di persona (li separano circa due secoli e mezzo), ma che egli nel suo fervore di adepto entusiasta arriva a qualificare con l'appellativo di “padre”:

“Tu ci sei padre, scopritore della realtà delle cose, tu ci fornisci insegnamenti paterni, e come le api sulle colline vanno succhiando tutti i fiori, allo stesso modo, o uomo illustre, noi dai tuoi scritti ci nutriamo degli aurei princìpi della tua dottrina, aurei e sempre degnissimi di sopravvivere per l'eternità”.
( Lucrezio, De rerum natura, III, 9 – 13)

Ignoriamo la biografia di Lucrezio, quindi non sappiamo se o per quanto tempo abbia conosciuto suo padre: perciò niente può autorizzarci a congetturare che l'identificazione di Epicuro con la figura paterna sia stata determinata dalla necessità di colmare un'eventuale carenza affettiva, dovuta alla mancanza del padre.
Molto diverso e dai contorni più netti è il caso del secondo poeta, lo stoico Aulo Persio Flacco. Come ci informa il suo biografo, egli rimase orfano di padre per ben due volte: gli morì il padre naturale a sei anni, ma anche il successivo patrigno. È comprensibile, dunque, che, al di là dell'apprezzamento culturale, il giovane Persio si sia sentito spinto a stringere un legame affettuoso con il suo maestro di filosofia stoica Lucio Anneo Cornuto, tanto più che i due condivisero per lungo tempo le lunghe ore dello studio e le brevi pause per ristorare il corpo e lo spirito. Egli ne parla così:

“Ora la Musa mi suggerisce di offrirti il mio cuore da scrutare e mi piace mostrarti, o dolce amico Cornuto, quanto la tua anima sia parte della mia. Mettila alla prova, tu che dal suono sei in grado di distinguere se dietro a un intonaco dipinto, simile a un linguaggio forbito, ci sia il vuoto o lo spessore di un muro. Adesso io oserei chiedere cento gole, per proclamare con accenti sinceri quanto ti abbia accolto nel profondo del petto, e affinché le mie parole esprimano tutto ciò che d'inesprimibile è racchiuso nell'intimo del mio cuore.
Non appena la toga pretesta orlata di porpora cessò di proteggere la mia timorosa innocenza e appesi il ciondolo fanciullesco, offrendolo ai Lari succinti, quando i miei compagni accondiscendenti e la bianca toga ben piegata finalmente mi permisero di girare liberamente lo sguardo in tutta la Suburra, nel momento in cui il cammino futuro ci appare incerto e l'ignorare il sentiero della vita conduce gli animi trepidanti davanti agli incroci di strade diverse, mi sono affidato alla tua guida. Tu, o Cornuto, accogli i giovinetti sul tuo petto socratico. Allora il regolo ben usato – capace di correggere senza darlo a vedere – raddrizza i costumi distorti. L'animo è sottomesso dalla ragione e s'impegna ad esserne vinto e sotto l'azione del tuo pollice viene modellato a regola d'arte. Infatti mi ricordo che insieme a te trascorrevo lunghe giornate e impiegavo le prime ore della notte a cenare con te. Entrambi dedichiamo lo stesso tempo in ugual misura al lavoro e al riposo e ci rilassiamo dall'impegno dello studio con un pasto frugale. E davvero non potresti dubitare che le vite di entrambi si accordino tra loro secondo una norma precisa e che siano guidate da un'identica costellazione”.
(Persio, Satire, V, 21 – 46)

Anche oggi, a distanza di circa venti secoli, quale insegnante non toccherebbe il cielo con un dito nel sentire un allievo rivolgergli simili attestazioni di stima e di riconoscenza?

Post in evidenza

Festìna lente

Questo motto latino, tuttora molto usato, significa: affréttati lentamente, e pare che fosse pronunciato spesso dall'imperatore Augusto,...