Questa sentenza – tutte
le cose future sono incerte: vivi subito! – è stata scritta dal
filosofo Seneca nell'opera intitolata De brevitate vitae (=
La brevità della vita), ma non è di lui che voglio parlare oggi,
bensì di uno scrittore latino molto meno serio ed austero: Marziale.
Molto spesso di Marco
Valerio Marziale si ricordano – o si vanno a cercare espressamente
– gli epigrammi più osceni e pruriginosi per il gusto del
proibito, ma bisogna riconoscere, purtroppo, che è diventato famoso
principalmente per questi. Sto scrivendo un libro (sono arrivato a un
buon punto), proprio per ristabilire su di lui un giusto giudizio,
mettendo in evidenza i suoi aspetti più lodevoli, come la spiccata
sensibilità e la delicatezza dei sentimenti.
Ma talora egli riesce a sorprenderci per la profonda saggezza – paradossale? A volte pure il
paradosso ha una sua decisiva forza di convinzione –, che da lui
non ci aspetteremmo e che ci costringe a riflettere, come se
leggessimo un verso sentenzioso di Orazio o un acuto giudizio di
Seneca.
Vi presenterò due suoi
epigrammi, che ritengo molto significativi: entrambi contengono
considerazioni sul tempo dell'esistenza umana. Il primo (V, 58) è
indirizzato a un certo Postumo, un evidente nome parlante, ossia un
nome che già di per se stesso delinea il carattere di quel
personaggio, tutto proiettato nel futuro:
Postumo,
tu ripeti sempre che vivrai domani, domani... Dimmi, Postumo: quando
viene questo domani? Quanto è lontano questo domani! Dov'è? O dove
bisogna cercarlo? Forse è nascosto presso i Parti e gli Armeni? Ormai
questo domani ha gli anni di Priamo o di Nestore. Questo domani –
dimmi – a quanto si potrebbe comprare? Vivrai domani? Postumo, è
già tardi vivere oggi: il
vero saggio, Postumo, è chi è vissuto ieri.
L'affermazione
conclusiva si basa sulla ferma convinzione che la vita sia troppo
breve. Nel seguente epigramma (VI, 70) il poeta ce ne spiega
argutamente il perché:
Caro
Marciano, Cotta ha già compiuto – credo – la sua sessantaduesima
mietitura e lui non si ricorda di aver sperimentato nemmeno per un
sol giorno le noie di un letto caldo. Egli mostra il dito, ma quello
osceno, ai [medici] Alconte, Dasio e Simmaco. Ma si conteggino in
modo adeguato i nostri anni e si sottragga dalla vita godibile tutto
il tempo, che ci hanno portato via le febbri perniciose o la
fiacchezza opprimente o i dolori atroci: siamo bambini e sembriamo
vecchi. O Marciano, chi pensa che la vita di Priamo e di Nestore sia
lunga, s'inganna e si sbaglia di molto. La vita non consiste
nell'essere vivi, ma nello stare in buona salute.
C'è da supporre, tuttavia, che la conclusione paradossale dell'epigramma V, 58
– quello indirizzato a Postumo – potrebbe essere una voluta
forzatura del poeta, che con essa si sarebbe garantito un finale ad
effetto. Infatti, Marziale, rivolgendosi a un certo Giulio, aveva già
affrontato il tema dell'irrimediabile fuga del tempo nell'epigramma I, 15, ma
prospettando la più sana ed accettabile soluzione oraziana, quella
del carpe
diem (=
cogli il giorno, ossia: realizzati nel presente):
…
Credimi,
non è da saggio dire: “Vivrò”. Vivere domani è troppo tardi:
vivi oggi.