sabato 4 giugno 2022

L'altro è Orazio satiro, che viene (Inferno, IV, 89)

Dopo la pubblicazione delle dieci satire del I libro, Orazio, valutando le reazioni dei suoi lettori, ha la possibilità di rendersi conto con una certa obiettività del tipo di accoglienza e dei giudizi di merito, che esse hanno suscitato in essi. Immaginando di dialogare con il famoso giurista Gaio Trebazio Testa, suo contemporaneo, egli comincia così la prima satira del II libro:

Ci sono alcuni a cui sembra che io sia troppo aspro nelle mie satire e che spinga l'opera al di là dei limiti consentiti dalla legge; altri, invece, ritengono che tutto ciò che ho scritto sia privo di nerbo e che si possano comporre mille versi al giorno simili ai miei. Trebazio, che dovrei fare? Prescrivimelo tu.”

<Stattene tranquillo.>

Mi stai dicendo di non scrivere più versi?”

<Sì. Dico proprio questo.>

Che mi prenda un colpo, se non sarebbe la soluzione migliore; ma non riesco a dormire.”

<Chi ha l'esigenza di un sonno profondo, attraversi a nuoto il Tevere per tre volte, dopo essersi spalmato di olio e sul far della notte si faccia un'abbondante bevuta di vino sincero. Oppure, se ti senti trascinare da tanta voglia di scrivere, osa cantare le imprese dell'invincibile Ottaviano, e le tue fatiche otterranno senz'altro grandi premi.>

(Satire II, 1, 1 – 12)


Ma Orazio dichiara di non sentirsi all'altezza di trattare argomenti militari, né di essere in grado di seguire l'esempio del saggio Lucilio, che aveva esaltato i meriti di Scipione. Comunque egli terrà presente la lezione di Lucilio, non per attaccare qualcuno per primo, ma solo per difendersi dalle provocazioni e dagli attacchi altrui.

Per farla breve: sia che mi aspetti una tranquilla vecchiaia, sia che la morte già mi svolazzi intorno, battendo le sue nere ali, ricco o povero, a Roma o esule, qualora la sorte voglia così, qualunque sarà la condizione della mia vita, io scriverò.”

(Satire II, 1, 57 – 60)

D'altronde, tranne alcune eccezioni, le satire di Orazio sono prive della virulenza messa in mostra da Lucilio, né sono indirizzate alla vasta e variegata platea dell'intera umanità come quelle di Persio e Giovenale, con la funzione immediata di una lezione pedagogica nel primo caso, di sfogo nel secondo. Le sue, invece, simili a conversazioni alla buona, – non le chiama per l'appunto Sermones? – sono rivolte a una ristretta cerchia di amici, che condividono i suoi ideali e i suoi valori. Quella di Orazio è una satira bonaria, in cui l'ironia non è malevola, ma spesso si trasforma in autoironia, perché l'autore non si esclude dal numero degli individui presi di mira, in quanto i difetti, da lui stigmatizzati negli altri, non di rado sono anche i suoi.

 

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