venerdì 4 dicembre 2020

Oggi parliamo... del poliptoto

Tranquilli! Non è una parolaccia e neppure il nome di una malattia. Si tratta di una figura retorica che consiste nell'usare più volte la stessa parola declinandola o coniugandola in modi diversi. Molto usata nel greco e nel latino, due lingue che, avendo i cosiddetti casi, possono presentare lo stesso nome, pronome o aggettivo con tante desinenze diverse, non è rara nemmeno nella poesia italiana. Eccone quattro esempi significativi:

Cred'io ch'ei credette ch'io credesse
(Dante, Inferno, XIII, 25)

io credea e credo, e creder credo il vero,
ch'amassi et ami me con cor sincero
(Ariosto, Orlando Furioso, IX, 23, 7-8)

Ahi! tanto amò la non amante amata
(Tasso, Gerusalemme Liberata, II, 28, 8)

Ed eccone due latini:

si canimus silvas, silvae sint consule dignae
(se cantiamo le selve, le selve siano degne del console)
(Virgilio, Ecloghe, IV, 3)

Scire tuum nihil est, nisi te scire hoc sciat alter?
(il tuo sapere non è nulla, se un altro non sa che tu sai?)
(Persio, Satire, I, 27)

Tutto ciò produce un innegabile potenziamento degli effetti espressivi ed è - a mio parere - assai carino, anche se molti pensano che sia qualcosa di ridicolo e ormai passato di moda. Già, come il disinteresse e le buone maniere...  







  

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