mercoledì 3 novembre 2021

Sopra la panca...

In questi giorni, in cui sto curando la pubblicazione del mio ultimo romanzo – è la ventitreesima opera da me composta: 16 romanzi + 7 saggi critici –, mi è tornato in mente l'inizio della mia attività da romanziere, cioè il primo capitolo del mio primo romanzo La città del destino. S'intitolava, e tuttora s'intitola, a meno che qualcuno non ne abbia cambiato il titolo a mia insaputa, Una panchina nel parco, panchina che svolge un ruolo fondamentale nel corso di tutto il romanzo e, di conseguenza, in tutta la tetralogia, che appunto da lì prende le mosse, quella che ho definito La saga di AblasorOltre a quella panchina immaginaria, ma per me realissima, mi vengono in mente altre panchine nella mia vita, due prima e due dopo.

Delle due precedenti una è direttamente legata alla mia laurea, ed è una panchina di Villa Sciarra, in cui a pochi giorni dalla discussione della Tesi mi appartavo con il testo del mio elaborato, per chiarirmi ulteriormente le idee, al fine di prevedere e confutare possibili obiezioni da parte degli esaminatori e perfezionare la traduzione di alcuni brani greci da me citati, su cui verteva la discussione dell'argomento. L'altra, invece, era situata sul Gianicolo, in un vialetto che conduceva al piazzale del belvedere, la terrazza panoramica, dove si trova la statua equestre di Giuseppe Garibaldi. Lì, dopo la laurea e quando già insegnavo, mi recavo ogni tanto in qualche raro pomeriggio libero, per leggere in santa pace e in un'ambientazione invitante opere letterarie di mio gradimento. Devo precisare che allora abitavo in Viale di Villa Pamphili, abbastanza vicino sia a Villa Sciarra sia al Gianicolo.

La quarta panchina riveste per me un ruolo molto particolare, in quanto potrei dire che costituisca un record, una specie di primato anche se del tutto involontario e imprevisto. Proprio il 3 novembre dello scorso anno avrei dovuto impartire una lezione di latino a una mia allieva, che doveva prepararsi a un'interrogazione su un certo numero di poesie di Orazio. Per un disguido trovammo chiuso l'accesso agli appositi locali scolastici e quindi per un'ora e mezza mi adattai a svolgere la lezione su una panchina, collocata in una strada vicina, in mezzo al traffico automobilistico, tra l'andirivieni dei passanti, che ci guardavano sorpresi e incuriositi, mentre declamavamo ritmicamente parole in una lingua a loro sconosciuta: il fatto è che oltre alla traduzione e al commento bisognava pure eseguire la lettura metrica dei versi... Perché ho detto che potrebbe costituire un record? Perché mi è capitato di insegnare sia in presenza (naturalmente), sia molto spesso tramite e-mail, per telefono, per videochiamata, ma una e una sola volta su una panchina in mezzo alla strada. Mi mancano solo lezioni per via telepatica, ma mi sto attrezzando anche per quelle...

Comunque, c'è ancora una quinta panchina presente, pur se episodicamente, nel mio ultimo romanzo. Non ha davvero il valore materiale e simbolico della panchina nel parco, ma da romanzo a romanzo serve a chiudere questa serie ricorrente, questa specie di circolarità, da cui stranamente è rimasta avviluppata casualmente – ma non ho mai creduto al caso! – parte della mia vita. 
Ce ne sarà una sesta? 

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