giovedì 16 dicembre 2021

E il buio ti avvolgerà

Il mio è un romanzo distopico e, per questo, vorrei soffermarmi sul concetto di distopia. Essa è il contrario dell'utopia, parola derivata dal greco: ou (leggi: u) significa non, mentre topos equivale a luogo. Quindi la parola utopia indica un non luogo, un luogo che non c'è, perché ospita una società perfetta, che non è mai esistita e mai esisterà. Distopia, a sua volta, è composta da dus (da leggere con l'u francese), che significa male e topos (= luogo): luogo maligno, luogo malvagio, ossia luogo che ospita una società opprimente, indesiderabile. Di solito una società distopica tende ad essere proiettata nel futuro come realizzazione compiuta di tendenze negative già presenti, allo stato più o meno latente, nel momento attuale.
Però, se noi approfondiamo la questione e l'esaminiamo più da vicino, ci rendiamo conto che tra l'utopia e la distopia non c'è una contrapposizione netta, in quanto l'utopia molto spesso è positiva solo in modo apparente, ma sotto sotto presenta innegabili aspetti distopici. Prendiamo per esempio il dialogo di Platone intitolato Repubblica, la prima grande Utopia della storia occidentale, in cui il filosofo greco per bocca del suo maestro Socrate descrive lo Stato ideale, veramente perfetto poiché i governanti sono tutti filosofi o, ciò che è lo stesso, i filosofi sono al governo. Esso ammette la menzogna come strumento di governo, perché i cittadini devono sapere solo una verità addomesticata, riveduta e corretta, adatta alla loro natura di non filosofi, che non sarebbero all'altezza e in grado di comprendere la verità integrale nuda e cruda. Inoltre in questa società "perfetta" è ammesso, ossia prescritto, l'infanticidio come necessità eugenetica, per mantenere la razza pura. Non siamo in piena distopia?
Non ci deve meravigliare che una - presunta - società perfetta preveda l'infanticidio, perché lo ammette anche  il filosofo Aristotele (= 'l maestro di color che sanno, secondo la definizione di Dante) nel suo trattato Politica, e addirittura un moralista stoico come Seneca, che nel De ira, afferma con la massima indifferenza:
eliminiamo i neonati malformati, affoghiamo anche i figli, se sono nati deboli e deformi; non è una forma di ira ma segno di ragionevolezza separare gli esseri inutili da quelli sani.
Se è facile che un'utopia apparente si trasformi in una reale distopia, è assolutamente impossibile che una distopia possa nascondere in sé un'utopia. Per cui il mio romanzo è distopico senza se e senza ma. Quanto alla natura di questa distopia non entro in merito, per non rivelare qualche particolare a chi non ha ancora letto il romanzo tra i miei "cari" follower (sono otto su dodici quelli a cui ho dato una copia del mio romanzo, o cartacea o digitale). 
Comunque, spero di poterne riparlare presto.  


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