lunedì 28 marzo 2022

I valori europei

Negli ultimi giorni si fa un gran parlare di valori europei, identificati nelle filippiche dei governanti ucraini, senza tenere presente che anche la Russia è a pieno titolo una nazione europea: basti pensare a Tolstoi, Dostoevskij, Cechov, Tchaikovsky e a tanti altri... Essi fanno parte del patrimonio culturale comune dell'Europa, che, ovviamente, non ha niente a che vedere con l'Unione Europea. Ma quali sarebbero i tanto decantati valori europei?
Nella mia ignoranza (nessuno può sapere tutto di tutto e, di conseguenza, ciascuno è ignorante di ciò che non sa) io sono convinto che i valori secolari della civiltà europea siano la philanthropìa greca, l'humanitas latina e il cristiano amore del prossimo: la sintesi tra i vertici morali del classicismo pagano e la buona novella cristiana hanno costituito i valori qualificanti della spiritualità europea, di quel complesso di qualità intellettuali e morali, di cui il vecchio continente non può che vantarsi. Voler vedere i valori europei solo da una parte dei due contendenti è una forzatura non solo politica ma fondamentalmente morale, è un discorso fraudolento volto a giustificare il clima guerrafondaio, che sta agitando il mondo occidentale. “Armi, armi, armi: inviamo armi, le più micidiali, per difendere i valori europei” questo recitano come un mantra i politicanti invasati e i pennivendoli con l'elmetto.
Ovviamente la guerra, ogni guerra, va condannata proprio sulla base di quei valori che ho appena enunciato e quindi Putin avrebbe dovuto fare ogni sforzo per evitare la via delle armi. Però, una volta che a torto o a ragione gli è sembrato di non avere altra via d'uscita che iniziare una sciagurata invasione militare, gli Stati europei, dimostratisi inetti e incapaci di svolgere una preventiva opera di mediazione, avrebbero dovuto cercare di lenire e abbreviare in ogni modo gli orrori della guerra, inviando aiuti umanitari (medicine, cibo, vestiario...) alla nazione invasa, ma evitando assolutamente di inviare armi, che avrebbero favorito un'illusoria resistenza, prolungando i tempi di guerra e quindi aumentando le sofferenze, il numero dei morti e dei feriti da una parte e dall'altra. Prima o poi si arriverà a una pace, ma è meglio arrivarci con una minore quantità di danni.
Converte gladium tuum in locum suum; omnes enim qui acceperint gladium gladio peribunt.
"Rimetti la tua spada al suo posto; infatti tutti quelli che hanno impugnato la spada, di spada moriranno" (Matteo XXVI, 52).

giovedì 24 marzo 2022

Oggi è il compleanno...

... del carissimo fratello Massimo, a cui rivolgo l'auspicio più affettuoso di ogni bene, a lui e alla sua famiglia.


 
 

sabato 19 marzo 2022

Tanti auguri, papà

Nell'occasione della festa del papà voglio riproporre un mio post, pubblicato il 12 novembre del 2020.

Tre giorni fa, precisamente alle tre di notte del 9 novembre, è stato il trentanovesimo anniversario della morte di mio padre. Questa occasione triste, ma che comunque è parte integrante della vita, mi ha suggerito di ricercare tra i miei amati classici un degno modo di commemorarlo. Senza cercare troppo, mi sono rivolto a due grandissimi, che non potevano non venirmi in mente di primo acchito: Orazio e Dante.
Orazio non si è mai vergognato di essere figlio di un ex schiavo, un cosiddetto liberto, anzi più volte nei suoi versi se ne è vantato ed ha espresso tutto il suo affetto e la sua riconoscenza a chi aveva dedicato la sua vita, le sue risorse e il suo amore per offrirgli la possibilità di crearsi un futuro di eccellenza. 
Scelgo il seguente brano solo perché non è eccessivamente lungo (Satire, I, 4, 103 - 120):

Se io dirò qualche cosa troppo schiettamente, se per caso la dirò con uno scherzo eccessivo, tu mi scuserai e mi concederai questo diritto: mi ci ha abituato il mio ottimo padre, in modo che, indicandomeli con esempi, io fuggissi tutti i vizi. Quando mi esortava a vivere in modo parsimonioso e frugale, contento di ciò che mi avesse procurato lui stesso: “Non vedi – mi diceva – come viva male il figlio di Albio e come sia povero Baio? È un grande insegnamento affinché nessuno voglia dilapidare il patrimonio paterno.” Quando voleva distogliermi dalla turpe relazione con una meretrice: “Cerca di essere diverso da Scetano.” Affinché non facessi la corte alle adultere, pur avendo la possibilità di godere dei loro favori, diceva: “Non è bella la fama di Trebonio colto sul fatto. Un filosofo ti spiegherà le motivazioni su che cosa sia meglio da evitare e da cercare; per me è sufficiente, se posso conservare il costume tramandato dagli antenati e mantenere intatta la tua vita e la tua fama, finché ti serve una guida; non appena l'età avrà irrobustito le tue membra e il tuo animo, nuoterai senza salvagente.” 

Quanto a Dante, i versi che citerò non riguardano il padre biologico, ma il suo maestro di studi, che lo amava come un figlio e che agli occhi di Dante aveva acquistato i contorni di un padre spirituale, come dovrebbe essere ogni vero insegnante. Si tratta di Brunetto Latini, letterato, notaio e uomo politico fiorentino, che l'onestà intellettuale e morale del poeta non poté fare a meno di collocare all'Inferno, data la sua fama di sodomita. Lui e i suoi compagni di pena corrono su un sabbione arroventato sotto una pioggia di fuoco. Dante (ovviamente il Dante personaggio, non il Dante autore) si meraviglia di trovarlo lì, macchiato di un tale peccato, ma questo non gli impedisce di trattenersi a lungo a colloquio con lui e di rivolgergli riconoscenti e affettuose parole di elogio (Inferno, XV, 79 - 87):

"Se fosse tutto pieno il mio dimando",
rispuos’io lui, "voi non sareste ancora
de l’umana natura posto in bando;


ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora


m’insegnavate come l’uom s’etterna:
e quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo

convien che ne la mia lingua si scerna.

Non voglio aggiungere altro, mi basta questo omaggio letterario, a cui affido il compito di sostituire tutte quelle parole che in certi casi avrei potuto, ma non ho mai detto a mio padre.

 

mercoledì 9 marzo 2022

9 marzo 1994 - 9 marzo 2022

Ventotto anni fa moriva il grande e controverso scrittore Charles Bukowski, lucido e spregiudicato testimone dell'alienazione materiale e morale della disumanizzata civiltà moderna. Vorrei ricordarlo con una sua angosciante poesia molto significativa.

Dal blog “Nonsolobiancoenero”:
CHARLES BUKOWSKI
Dinosauria, noi, da “The Last Night of the Earth Poems”, Charles Bukowski
APRILE 7, 2017 VIOLABLUES 2 COMMENTI

Nati così
in mezzo a tutto questo
tra facce di gesso che ghignano
e la signora Morte che se la ride
mentre gli ascensori si rompono
mentre gli orizzonti politici si dissolvono
mentre il ragazzo della spesa del supermercato ha una laurea
mentre i pesci sporchi di petrolio sputano la loro preda oleosa
e il sole è mascherato
siamo nati così
in mezzo a tutto questo
tra queste guerre attentamente matte
tra la vista di finestre di fabbrica rotte di vuoto
in mezzo a bar dove le persone non si parlano più
nelle risse che finiscono tra sparatorie e coltellate
siamo nati così
in mezzo a tutto questo
tra ospedali così costosi che conviene lasciarsi morire
tra avvocati talmente esosi che è meglio dichiararsi colpevoli
in un Paese dove le galere sono piene e i manicomi chiusi
in un posto dove le masse trasformano i cretini in eroi di successo
nati in mezzo a tutto questo
ci muoviamo e viviamo in tutto ciò
a causa di tutto questo moriamo
castrati
corrotti
diseredati
per tutto questo
ingannati da questo
usati da questo
pisciati addosso da questo
resi pazzi e malati da questo
resi violenti
resi inumani
da questo
il cuore è annerito
le dita cercano la gola
la pistola
il coltello
la bomba
le dita vanno in cerca di un dio insensibile
le dita cercano la bottiglia
le pillole
qualcosa da sniffare
siamo nati in questo essere letale triste
siamo nati in un governo in debito di 60 anni
che presto non potrà nemmeno pagare gli interessi su quel debito
e le banche bruceranno
il denaro sarà inutile
ammazzarsi per strada in pieno giorno non sarà più un crimine
resteranno solo pistole e folle di sbandati
la terra sarà inutile
il cibo diventerà un rendimento decrescente
l’energia nucleare finirà in mano alle masse
il pianeta sarà scosso da un’esplosione dopo l’altra
uomini robot radioattivi si inseguiranno l’un l’altro
il ricco e lo scelto staranno a guardare da piattaforme spaziali
l’inferno di Dante sarà fatto per somigliare a un parco giochi per bambini
il sole sarà invisibile e sarà la notte eterna
gli alberi moriranno
e tutta la vegetazione morirà
uomini radioattivi si nutriranno della carne di uomini radioattivi
il mare sarà avvelenato
laghi e fiumi spariranno
la pioggia sarà il nuovo oro
la puzza delle carcasse di uomini e animali si propagherà nel vento oscuro
gli ultimi pochi superstiti saranno oppressi da malattie nuove ed orrende
e le piattaforme spaziali saranno distrutte dalla collisione
il progressivo esaurimento di provviste
l’effetto naturale della decadenza generale
e il più bel silenzio mai ascoltato
nascerà da tutto questo.
il sole nascosto
attenderà il capitolo successivo.

martedì 8 marzo 2022

Oggi è il compleanno...

... del carissimo figlio Marco. A lui giunga l'auspicio più affettuoso di un Buon Compleanno e di un meraviglioso futuro.

Tantissimi auguri, Marco!



domenica 6 marzo 2022

Alla ricerca della (perduta) "humanitas"

La cultura latina ci ha lasciato in eredità il concetto di “humanitas”, che, unitosi ai princìpi del cristianesimo, ha costituito per secoli il fondamento – spesso disatteso, attualmente sgradito – della civiltà europea. Vale la pena rileggerne un'originale e persuasiva interpretazione, contenuta in un passo della XV satira di Giovenale [vv. 131 – 158], un autore latino che non gode i favori della critica accademica e che viene visto come il fumo negli occhi dall'odierna cultura progressista, poiché essa gli imputa a colpa alcuni “peccati capitali” della civiltà moderna: la misoginia, l'omofobia e la xenofobia. Nonostante tutto ancora ha molte cose da insegnarci...

“… Mollissima corda
humano generi dare se natura fatetur,
quae lacrimas dedit. Haec nostri pars optima sensus.
plorare ergo iubet causam dicentis amici
squaloremque rei, pupillum ad iura uocantem
circumscriptorem, cuius manantia fletu
ora puellares faciunt incerta capilli.
Naturae imperio gemimus, cum funus adultae
uirginis occurrit uel terra clauditur infans
et minor igne rogi. quis enim bonus et face dignus
arcana, qualem Cereris uolt esse sacerdos,
ulla aliena sibi credit mala? Separat hoc nos
a grege mutorum, atque ideo uenerabile soli
sortiti ingenium diuinorumque capaces
atque exercendis pariendisque artibus apti 
sensum a caelesti demissum traximus arce,
cuius egent prona et terram spectantia. Mundi
principio indulsit communis conditor illis
tantum animas, nobis animum quoque, mutuus ut nos
adfectus petere auxilium et praestare iuberet, 
dispersos trahere in populum, migrare uetusto
de nemore et proauis habitatas linquere siluas,
aedificare domos, laribus coniungere nostris
tectum aliud, tutos uicino limine somnos
ut conlata daret fiducia, protegere armis 
lapsum aut ingenti nutantem uolnere ciuem,
communi dare signa tuba, defendier isdem
turribus atque una portarum claue teneri.”


La natura, donandoci le lacrime, rivela di aver dato al genere umano dei cuori molto teneri. Questa è la parte migliore della nostra sensibilità. Essa ci fa compiangere il miserevole aspetto di un amico costretto a difendersi in tribunale, il pupillo che cita in giudizio il tutore che l'ha raggirato, mentre i suoi lunghi capelli da fanciulla ne rendono incerti i lineamenti bagnati di lacrime. È un impulso naturale, che ci spinge al pianto, se c'imbattiamo nel corteo funebre di una ragazza ormai pronta per le nozze o assistiamo alla sepoltura di un bimbo ancora troppo piccolo per le fiamme del rogo. Infatti, quale persona dall'animo buono e degna di portare la fiaccola dei Misteri, come prescrive il sacerdote di Cerere, può credere che i dolori altrui le siano estranei? Questo ci divide dal gregge degli animali muti e perciò, avendo ottenuto in sorte noi soli il venerabile ingegno ed essendo capaci di concepire il divino e adatti ad esercitare e a produrre le arti, abbiamo ricevuto quella sensibilità inviataci dal regno celeste, della quale sono privi gli animali curvi al suolo e che fissano la terra.
All'inizio del mondo il creatore di tutte le cose concesse a loro soltanto la vita ma a noi anche la ragione e i sentimenti, affinché un reciproco affetto ci inducesse a chiedere e a prestare aiuto, a riunire in un popolo quelli che erano dispersi, a migrare dall'antico bosco e a lasciare le foreste abitate dagli antenati, a unire un altro tetto alla nostra abitazione, in modo che la fiducia degli uni negli altri rendesse sicuri i sonni per la vicinanza delle soglie, ci spingesse a proteggere con le armi un cittadino caduto o barcollante per una grave ferita, a dare segnali con la tromba comune, ad essere difesi dalle stesse torri e a stare al riparo delle porte chiuse da una sola chiave.

Post in evidenza

Festìna lente

Questo motto latino, tuttora molto usato, significa: affréttati lentamente, e pare che fosse pronunciato spesso dall'imperatore Augusto,...