mercoledì 29 giugno 2022
Oggi è il compleanno ...
giovedì 23 giugno 2022
C'è poco da ridere... (1)
L'attribuzione al secondo Giovenale di un “riso democriteo” con il corollario di un presunto tono sapienziale o, addirittura, oraziano ha portato e porta fuori strada tanti studiosi, allontanandoli dal Giovenale reale, quello – cioè – che risulta da una lettura dei suoi versi libera da pregiudizi, e favorendo l'immaginazione di un Giovenale fittizio, che poggia però su basi inconsistenti. Parliamoci chiaro: se noi esaminiamo le satire X – XVI senza preconcetti – sine ira ac studio, come direbbe Tacito – non ci troviamo proprio nulla da ridere, ma piuttosto l'attuazione di una poetica dell'interiorità, lontana mille miglia dallo sfottente e cinico riso di Democrito, permeata com'è di autentica e convinta vita sentimentale. D'altronde, concependo un Giovenale democriteo, a che cosa si ridurrebbe l'homme océan, che ha visto nel satirico aquinate uno scrittore del calibro di Victor Hugo? Ad un innocuo laghetto alpino, suggestivo e pittoresco – sì – ma privo della spettacolare furia travolgente di una tempesta oceanica. O forse a una brutta copia scolorita – peggio: a una caricatura – di Marziale, di cui non sapremmo che fare. Per non parlare delle satire XV e XVI che, a detta degli stessi critici, riproporrebbero la medesima poetica iniziale dell'indignatio, sconfessando la presunta svolta democritea e ritornando inspiegabilmente al punto di partenza. C'è una logica in tutto ciò?
Nella Satira XV il poeta descrive uno scontro tra due popolazioni egiziane, che culmina con un aberrante episodio di cannibalismo. Egli, considerando l'energia fisica impiegata dalle due parti nel combattimento, osserva che siamo ben lontani dalla forza erculea messa in mostra dagli eroi, che combatterono sotto le mura di Troia. E nei versi 69 – 71 spiega:
sabato 11 giugno 2022
Passato, presente e futuro
sabato 4 giugno 2022
L'altro è Orazio satiro, che viene (Inferno, IV, 89)
Dopo la pubblicazione delle dieci satire del I libro, Orazio, valutando le reazioni dei suoi lettori, ha la possibilità di rendersi conto con una certa obiettività del tipo di accoglienza e dei giudizi di merito, che esse hanno suscitato in essi. Immaginando di dialogare con il famoso giurista Gaio Trebazio Testa, suo contemporaneo, egli comincia così la prima satira del II libro:
“Ci sono alcuni a cui sembra che io sia troppo aspro nelle mie satire e che spinga l'opera al di là dei limiti consentiti dalla legge; altri, invece, ritengono che tutto ciò che ho scritto sia privo di nerbo e che si possano comporre mille versi al giorno simili ai miei. Trebazio, che dovrei fare? Prescrivimelo tu.”
<Stattene tranquillo.>
“Mi stai dicendo di non scrivere più versi?”
<Sì. Dico proprio questo.>
“Che mi prenda un colpo, se non sarebbe la soluzione migliore; ma non riesco a dormire.”
<Chi ha l'esigenza di un sonno profondo, attraversi a nuoto il Tevere per tre volte, dopo essersi spalmato di olio e sul far della notte si faccia un'abbondante bevuta di vino sincero. Oppure, se ti senti trascinare da tanta voglia di scrivere, osa cantare le imprese dell'invincibile Ottaviano, e le tue fatiche otterranno senz'altro grandi premi.>
(Satire II, 1, 1 – 12)
“Per farla breve: sia che mi aspetti una tranquilla vecchiaia, sia che la morte già mi svolazzi intorno, battendo le sue nere ali, ricco o povero, a Roma o esule, qualora la sorte voglia così, qualunque sarà la condizione della mia vita, io scriverò.”
(Satire II, 1, 57 – 60)
D'altronde, tranne alcune eccezioni, le satire di Orazio sono prive della virulenza messa in mostra da Lucilio, né sono indirizzate alla vasta e variegata platea dell'intera umanità come quelle di Persio e Giovenale, con la funzione immediata di una lezione pedagogica nel primo caso, di sfogo nel secondo. Le sue, invece, simili a conversazioni alla buona, – non le chiama per l'appunto Sermones? – sono rivolte a una ristretta cerchia di amici, che condividono i suoi ideali e i suoi valori. Quella di Orazio è una satira bonaria, in cui l'ironia non è malevola, ma spesso si trasforma in autoironia, perché l'autore non si esclude dal numero degli individui presi di mira, in quanto i difetti, da lui stigmatizzati negli altri, non di rado sono anche i suoi.
Post in evidenza
Festìna lente
Questo motto latino, tuttora molto usato, significa: affréttati lentamente, e pare che fosse pronunciato spesso dall'imperatore Augusto,...
-
Questa frase latina, che significa siamo tutti un popolo solo , è contenuta nel poema De consulatu Styliconis (libro III, v. 159), scritto d...
-
Questa sentenza – tutte le cose future sono incerte: vivi subito! – è stata scritta dal filosofo Seneca nell'opera intitolata De brevita...