Ormai quasi tutti i giorni del calendario sono abbinati a particolari feste o giornate commemorative, che abbracciano una varietà indescrivibile di condizioni, di attività, di situazioni, di personaggi tipici e... chi più ne ha, più ne metta. Tutto questo per la particolare gioia dei pasticceri e dei gioiellieri, ma in parte anche dei venditori di ogni genere di beni di consumo, che si presti ad essere acquistato, per essere poi donato come regalo. Tra i venditori comprendo anche i venditori di fumo, cioè i politicanti, che in mezzo a tante ricorrenze celebrative possono sbizzarrirsi, con aria sussiegosa e austera, a improvvisare discorsi inconsistenti, ridicoli, ipocriti o scopiazzati, memorizzati a fatica in tante notti insonni. Ma che ci si può fare? Il PROGRESSO (?) richiede pure questo...
Quindi hanno deciso che il 19 marzo sia la festa del papà, come se i papà, le mamme, i nonni, gli innamorati, le donne, i lavoratori etc. si dovessero festeggiare a comando nell'arco di 24 ore, e si potessero elegantemente ignorare in tutto il resto dell'anno: ma capisco bene che tutte queste mie osservazioni sono semplice aria fritta.
Ritornando al 19 marzo, ritengo molto più serio il festeggiamento del Santo del giorno: S. Giuseppe, anche perché i miei genitori, molto religiosi, mi hanno messo come secondo nome Giuseppe: Marcello, Giuseppe, Maria. Questo personaggio, basilare nella storia del Cristianesimo, è stato oggetto di tante barzellette profane, spesso poco rispettose, ma anche di affettuose poesie, da cui promana un profondo sentimento di simpatia nei suoi confronti. Oggi voglio proporvi la lettura di un componimento, scritto da un illustre e caratteristico interprete del teatro romanesco: Checco Durante (1893 - 1976), attore e poeta. S'intitola Preghiera a San Giuseppe, e il suo ritmo cantilenante ben si adatta a un contenuto, che non spazia nell'alto dei cieli, ma esprime con accenti concreti l'accorata (anche se il tono è umoristico) consapevolezza di una penosa e diffusa condizione umana.
San Giuseppe
frittellaro,
tanto bono e tanto caro,
tu che sei così
potente
da aiutà la pòra gente,
tutti pieni de speranza
te
spedimo quest’istanza.
Fa sparì da su
‘sta tera
chi desidera la guera;
fa venì l’era beata
che
la gente affratellata
da la pace e dal lavoro
nun se scannino
tra loro.
Fa che er
popolo italiano
ciabbia er pane quotidiano
fatto solo de
farina
senza ceci ne saggina.
Fa che calino
le tasse
e la luce, er tranve e er gasse;
che ar telefono er
gettone,
nun lo mettano un mijone;
che a potè legge er
giornale
nun ce serva un capitale;
fa che tutto a
Campidojo
vadi liscio come l’ojo;
che a li ricchi troppo
ingordi
je se levino li sordi
pe’ curà quer gran malato
che
sarebbe l’impiegato
che, così, l’avrebbe vinta
e s’allarga
un po’ la cinta;
mò quer povero infelice
fa la cura
dell’alice…
e la panza è tanto fina
che s’incolla co’
la schina.
O mio caro San
Giuseppe
famme fa un ber par de peppe,
ma fa pure che er
pecione
nun le facci cor cartone
che sinnò li stivaletti
doppo
un mese che li metti
te li trovi co’ li spacchi
senza sola e
senza tacchi.
E fa pure che
er norcino
er salame e er cotechino
ce lo facci onestamente
cor
maiale solamente
che sinnò li drento c’è
tutta l’arca de
Noè.
Manna er freddo
e manna er sole
tutto quello che ce vole
pe’ fa bene a la
campagna
che sinnò qua nun se magna.
Manna l’acqua
che ricrea
che sinnò la sora Acea
ogni vorta che nun
piove
s’impressiona e fa le prove
pe’ potè facce annà a
letto
cor lumino e er moccoletto.
O gran Santo
benedetto
fa che ognuno riabbia un tetto.
La lumaca,
affortunata,
cià la casa assicurata
che la porta sempre
appresso…
fa pe’ noi puro lo stesso…
facce cresce su la
schina
una camera e cucina.
Fa che l’oste,
bontà sua,
pe’ fa er vino addopri l’uva
che sinnò quanno
lo bevi
manni giù l’acqua de Trevi.
Così er vino
fatto bene
fa scordà tutte le pene
e te mette
l’allegria.
Grazzie tante…
accusì sia!
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