mercoledì 27 luglio 2022

I vecchi e i giovani

Leggere e rileggere i classici latini e greci fa bene allo spirito, perché ci permette di prendere le distanze dalla volgarità e dalla cafonaggine dei tempi moderni, magnifici e progressivi (?)... Per esempio, più andiamo indietro nel tempo e più ci rendiamo conto che l'eterno e ovvio contrasto tra vecchi e giovani non è stato sempre vissuto come un aspro scontro tra due mentalità incommensurabili, ma poteva anche essere sanato sulla base del rispetto. Leggiamo questi sette versi di Giovenale, tratti dalla XIII satira (vv. 53 – 59):

Inprobitas illo fuit admirabilis aeuo,
credebant quo grande nefas et morte piandum
si iuuenis uetulo non adsurrexerat et si
barbato cuicumque puer, licet ipse uideret
plura domi fraga et maiores glandis aceruos;
tam uenerabile erat praecedere quattuor annis
primaque par adeo sacrae lanugo senectae.

La sfacciataggine suscitava scalpore in quel tempo, in cui consideravano un grande delitto, e da doversi espiare con la morte, se un giovane non si era alzato in piedi davanti a un vecchio e se un ragazzetto non l'aveva fatto davanti a uno con appena un po' di barba, anche se a casa sua era abituato a vedere una maggiore quantità di fragole e mucchi di ghiande più grossi; tanto era degno di rispetto precedere qualcuno di soli quattro anni e fino a tal punto la prima lanugine era equiparabile alla veneranda vecchiaia.


Il rispetto di una persona anziana al giorno d'oggi è diventato un optional, un valore sorpassato, di cui non si cura più nessuno; sia che parli sia che taccia, viene ignorata: i giovani la trattano da pari a pari, infischiandosi altamente di tutto il bagaglio di esperienze che ha messo o vorrebbe mettere a loro disposizione. I vecchi sono noiosi, brontoloni, pronti al rimprovero, una realtà ammuffita un po' simile alle “buone cose di pessimo gusto” ricordate con ironia da Guido Gozzano nella poesia “L'amica di nonna Speranza”. Ma anche i giovani sono destinati a diventare vecchi e allora... 

sabato 16 luglio 2022

Oggi è il compleanno...

del poeta latino arcaico Quinto Ennio e della cara Alessia, a cui ho insegnato latino e greco – speravo non solo quello... – per tutti i cinque anni del Ginnasio-Liceo. A Ennio, glorificato nell'antica Roma con il titolo di pater della Letteratura latina, non saprei che cosa augurare, ma alla bella Alessia, che oggi compie i suoi primi venti anni, auguro di cuore le tre esse fondamentali: salute, successi, serenità. Ad maiora semper!


 

venerdì 15 luglio 2022

Ingratitudine e autolesionismo

La saggezza latina si rivela, oltre che nella filosofia e nella satira, anche nella favola. Fedro ne è un esempio lampante. Un tempo, quando il latino si studiava obbligatoriamente fin dai tre anni della scuola media, uno dei primi testi latini da leggere erano le favole di Fedro, che mediante narrazioni briose proponevano insegnamenti morali. Oggi vi propongo questa:

Chi aiuta i malvagi, dopo un po' se ne pente.
Un tale raccolse da terra un serpente intirizzito dal freddo e lo scaldò in seno, pietoso a suo danno. E infatti quello, non appena si riprese, subito uccise l'uomo. Poiché un altro serpente gli chiedeva il motivo di quella scelleratezza, rispose: "Affinché nessuno impari a giovare ai malvagi."

Si dice che la riconoscenza piace a Dio e agli uomini... Caro Fedro, chi non ha sperimentato almeno una volta nella vita i denti velenosi di quel serpentello?

martedì 5 luglio 2022

Persio e l'inanitas

Una delle caratteristiche peculiari della natura umana è l'inanitas, ossia la vanità, l'inconsistenza, il vuoto interiore, che gli uomini si sforzano di colmare riempiendola con l'ostentazione orgogliosa di meriti spesso presunti, sempre sopravvalutati. Questo vuoto interiore è generato – secondo Persio – dal rifiuto della realtà divina, prodotto o dall'ignoranza o dalla superbia o dall'attaccamento morboso ed esclusivo ai beni materiali:

o curvae in terris animae et caelestium inanes

anime curve al suolo e ignare di cose celesti!

(II, 61)

L'inanitas, stigmatizzata in questo verso, era già stata messa sotto accusa dal poeta volterrano, anche se con una diversa valenza, più teoretica e meno etica, nel primo verso della prima satira:

O curas hominum, o quantum est in rebus inane!

O preoccupazioni degli uomini! Quanta vanità c'è nelle cose!


Il risultato in ogni modo è lo stesso: dare eccessiva importanza a cose o a nozioni, che non ne hanno, e vantarsi del loro possesso o della loro conoscenza, come è descritto in modo mirabile nel dialogo tra Persio e un letterato borioso (I, 24 – 30):

A che scopo aver imparato tante cose, se un giorno, dal fegato lacerato non potrà venir fuori questo lievito e quel caprifico, che abbiamo dentro fin dalla nascita?”

    <Ecco il motivo del pallore e l'atteggiamento da vecchi! O costumi! Siamo arrivati al punto che il tuo sapere non vale niente, se un altro non sa che tu sai?>

Ma è bello essere additato e sentirsi dire: è lui! Ritieni che sia una cosa da nulla essere un testo di lettura per cento scolaretti riccioluti?”

Da notare l'effetto comico del sarcastico poliptoto presente nel verso 27, in cui il verbo scio (= sapere) viene usato prima nella forma di infinito sostantivato, poi di infinito presente oggettivo, infine di congiuntivo presente:

scire tuum nihil est, nisi te scire hoc sciat alter?


A Persio piacciono simili acrobazie verbali, che producono un effetto girandola: basti pensare all'altro irresistibile poliptoto, contenuto nel verso 84 della III satira, in cui da un lato è ridicolizzato uno dei cardini del pensiero epicureo, dall'altro è messo alla berlina il rozzo e ottuso centurione, refrattario agli studi filosofici. 

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Festìna lente

Questo motto latino, tuttora molto usato, significa: affréttati lentamente, e pare che fosse pronunciato spesso dall'imperatore Augusto,...