Da piccolo mi sono appassionato agli Indiani d'America sulla base di qualche libro e di pochissimi film visti al cinema, dato che in casa mia la televisione entrò quando già stavo in seconda media. Ma anche quegli scarsi contatti mi furono sufficienti, per immergermi in quel mondo favoloso di avventure, di paesaggi sconfinati, di profonda saggezza. I risultati non tardarono a venire: un 8 preso in un tema in classe alla Medie, con la professoressa entusiasta, che volle complimentarsi con mia madre. Tanto tempo è passato da allora ma il mio interesse affettuoso è rimasto costante, tanto che, quando ho cominciato a scrivere romanzi e saggi letterari, ho voluto dedicare un romanzo anche ai miei cari Indiani (Edizioni Simple, ottobre 2011) ed è appunto quello che presento adesso...
Regione
dei Grandi Laghi nel Nord America, anno 1758: sono queste le
coordinate spazio-temporali, che caratterizzano l’inizio del
presente romanzo. C’è in atto un conflitto accanito tra Inglesi e
Francesi, combattuto senza esclusione di colpi nei selvaggi territori
americani parallelamente alla Guerra dei sette anni (1756-1763), che
nello stesso tempo insanguinava l’Europa coinvolgendo, però, un
maggior numero di nazioni. A un tale conflitto partecipano anche le
popolazioni indiane stanziate in quella zona, alcune alleate con i
Francesi, come gli Uroni, altre con gli Inglesi, come gli Irochesi e
i Mohawk. Gli indigeni molto ingenuamente s’illudono di poter
stabilire una definitiva supremazia sulle tribù rivali, sfruttando
l’aiuto militare dell’una o dell’altra nazione europea, ma non
si rendono conto di essere semplici strumenti, di cui Francesi e
Inglesi si servono per realizzare le loro mire espansionistiche. Alla
fine saranno proprio i nativi americani i soli che correranno il
rischio di rimetterci, come, infatti, è puntualmente avvenuto nel
modo ignominioso che ben conosciamo.
Nel romanzo la giovane
principessa dei Mohawk, sfruttando le sue doti di preveggenza, che le
derivano dall’essere anche uno sciamano, si fa portavoce delle
ragioni degli Indiani ed esprime un’amara profezia:
“Mio
bel capitano, voi bianchi sulla base dei vostri interessi
opportunistici ora ci combattete, ora ci siete amici… Ma in
entrambi i casi ignorate la civiltà e la cultura indiane...”
commentò la ragazza con il volto triste:
“Prima o poi ci annienterete tutti e con noi spariranno per sempre anche le nostre tradizioni...”
Comunque,
anche tra gli invasori europei ci sono alcuni personaggi che,
nonostante la guerra, conservano intatta la loro umanità e restano
fedeli al rispetto di quelle regole non scritte, che distinguono gli
uomini dalle bestie: il capitano inglese, che, dopo aver liberato la
principessa, le rimprovera la sua eccessiva crudeltà, e il suo
connazionale tenente di vascello John Colter; tra i Francesi, il
sottotenente Delareaux e, specialmente, il protagonista Manilio
d’Ollecram, tanto poco condizionato da pregiudizi razziali, da
innamorarsi di una principessa indiana, per di più appartenente a
una tribù nemica. Già, l’amore… In questo romanzo funge da
sottile e, spesso, sotterraneo filo conduttore, come se non avesse il
coraggio o la forza di alzare la sua voce sul fragore degli spari,
sui lamenti degli agonizzanti, sulle urla strazianti degli infelici
torturati. Eppure c’è e, anche se bisbiglia pudicamente, si fa
sentire in mezzo alla tragedia delle battaglie, degli agguati, degli
inseguimenti, dei rancori, delle vendette sanguinose e in conclusione
trionfa…, almeno fino alle ultime pagine.
Che dire del finale?
Senz’altro giunge inatteso e ad alcuni può anche lasciare l’amaro
in bocca, ma in definitiva produce nell’animo lo stesso sgomento di
tutte le cose destinate tristemente a finire.
uno tra i tuoi libri che ho più apprezzato; chissà se il mio commento dell'epoca è ancora reperibile?
RispondiEliminaMassimo
Sì, sì: lo puoi trovare sul sito "Solo libri". Era un commento molto bello...
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