Tutta questa premessa ha il fine di presentare l'esordio della XIII satira (vv. 1 – 3), una palese testimonianza di quanto Giovenale stia scandagliando l'animo umano nella seconda fase della sua produzione poetica:
Exemplo
quodcumque malo committitur, ipsi
displicet
auctori. Prima est haec ultio, quod se
iudice
nemo nocens absolvitur...
Qualunque azione, che possa valere da cattivo esempio, si ritorce contro lo stesso autore: questa è la prima punizione, perché nessun colpevole viene assolto, quando a giudicarlo è la sua coscienza...
Con il suo inconfondibile stile di incisiva eloquenza Giovenale definisce una volta per tutte la natura del rimorso. Rileggiamo le sue parole: “qualunque azione, che possa valere da cattivo esempio”. Notate bene: “qualunque”. Non bisogna pensare ai peggiori crimini, come uccidere, stuprare, rubare... no: “qualunque azione che possa valere da cattivo esempio”. Per esempio, la menzogna, la mancanza di rispetto, l'ingratitudine, qualunque azione, cioè, che danneggi o faccia soffrire un'altra persona; ma pure una non azione, perché anche omettere o non voler fare ciò che si potrebbe e si dovrebbe risulta alla fine un'espressione di malevolenza nei confronti di chi si aspettava quell'azione e ci contava. Il giudizio della propria coscienza è implacabile e tormenta nell'intimo l'individuo, sebbene non voglia ammetterlo apertamente.
Un'ulteriore dimostrazione di quanto sia utile e formativa la lettura di Giovenale.
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