Tra
i popoli antichi quello che per primo diede importanza ai compleanni
e ai loro festeggiamenti fu il popolo latino, secondo cui alla
nascita di un individuo se ne prendeva cura un nume tutelare, detto
Genius,
che lo accompagnava in tutto il cammino della vita fino alla morte,
come una specie di angelo custode. Pertanto il dies
natalis (giorno della nascita
o compleanno) acquistò a Roma una grande importanza, perché era
principalmente la festa del Genius,
che veniva onorato con offerte
e sacrifici.
Eccone due illustri testimonianze poetiche:
Diciamo
parole di buon auspicio: è giunto agli altari il giorno natalizio.
Chiunque
tu sia qui presente, uomo o donna, fa' silenzio.
(Tibullo,
Elegie,
II, 2, 1 – 2)
O
Macrino, segna con un bianco sassolino
il
giorno fausto, che ti aggiungerà gli anni che fuggono via.
(Persio,
Satire,
II, 1 – 2)
E
infine non posso tralasciare una delle più belle Odi di Orazio (la
undicesima del IV libro), in cui al tema dei preparativi dei
festeggiamenti per il compleanno di Mecenate si uniscono tanti spunti
morali e tante amare considerazioni personali sulla vecchiaia
incipiente, che segnerà in modo irrevocabile la fine dei suoi
innamoramenti. È tanto bella che non posso esimermi dal citarla per
intero:
Ho
un orcio di vino albano, invecchiato da più di nove anni; nell'orto,
Fillide, c'è l'apio per intrecciare corone: c'è una grande quantità
di edera che, avvolta intorno ai tuoi capelli, ti farà apparire uno
splendore; la casa scintilla d'argento, l'altare, cinto di pure
verbene, brama di essere spruzzato con il sangue di un agnello
immolato. Tutta la servitù è affaccendata; le ancelle vanno
correndo qua e là insieme ai giovani schiavi; le fiamme tremolanti
dalle loro punte emettono tutt'intorno un fumo grigiastro.
Tuttavia,
affinché tu sappia a quali gioie sei invitata, sappi che devi
festeggiare le Idi, giorno che divide a metà il mese di Aprile,
dedicato a Venere marina; giorno che per me è giustamente solenne e
quasi più sacro del mio compleanno, perché a partire da questo il
mio Mecenate conta gli anni che scorrono.
Il
Telefo, che tu desideri, un giovane non della tua condizione sociale,
lo ha preso prima di te una ragazza ricca e allegra, e lo tiene
legato a sé con una catena a lui gradita. La combustione di Fetonte
atterrisce le ambizioni umane e l'alato Pegaso, infastidito dal
cavaliere terreno Bellerofonte, fornisce il valido esempio di seguire
sempre le cose adatte alla tua condizione e di evitare chi è troppo
diverso da te, ritenendo empio concepire speranze al di là di ciò
che è lecito.
Orsù,
vieni, ultimo dei miei amori (infatti in seguito non mi accenderò
per altre donne), apprendi le melodie, che canterà la tua voce
amabile: con il canto saranno attenuate le nere angosce.
Orazio
sta organizzando i festeggiamenti per il compleanno del suo
protettore ed amico Mecenate: nella casa fervono i preparativi e
tutta la servitù è indaffarata. Per questa grande occasione il
poeta invita pure Fillide, la giovane di cui è attualmente
invaghito. Lei, però, spasima per un ragazzo, Telefo, che appartiene
a una classe sociale superiore, a sua volta innamorato di una ragazza
ricca e allegra. Orazio, come un fratello maggiore, le consiglia il
senso della misura, per non concepire speranze e desideri che vadano
al di là della sua condizione. Fillide canta con voce melodiosa e
per questo Orazio insiste ad invitarla: il suo dolce canto allevierà
le nere angosce: quelle di lui, che avverte tristemente l'avanzare
dell'età - Fillide sarà il suo ultimo amore - e quelle di lei,
sofferente per una passione non corrisposta.
Da
un inizio vivacemente descrittivo, si passa a due riferimenti
mitologici, che dovrebbero ammonire gli uomini a non oltrepassare i
propri limiti, quindi a una fase più riflessiva - potremmo dire: più
oraziana - e infine si giunge alla conclusione intima e tenera al
tempo stesso, in cui si sente vibrare una nota affettuosa per la
giovane triste, la cui voce amabile potrà dare sollievo a entrambi.
Concludo
queste mie divagazioni sui compleanni, trascrivendo a mo' di
malinconica conclusione una parte del pensiero XIII, tratto dai CXI
pensieri di Giacomo Leopardi:
Bella
ed amabile illusione è quella per la quale i dì anniversari di un
avvenimento, che per veritá non ha a fare con essi piú che con
qualunque altro dì dell’anno, paiono avere con quello un’attinenza
particolare, e che quasi un’ombra del passato risorga e ritorni
sempre in quei giorni, e ci sia davanti: onde è medicato in parte il
tristo pensiero dell’annullamento di ciò che fu, e sollevato il
dolore di molte perdite, parendo che quelle ricorrenze facciano che
ciò che è passato, e che piú non torna, non sia spento né perduto
del tutto...
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