Per celebrare degnamente l'odierno anniversario del Natale di Roma (21 aprile 753 a. C.), voglio proporre due brani poetici latini. Il primo è di Orazio, composto nel 17 a. C. sotto l'impero di Augusto, il periodo iniziale e più splendido dell'Impero Romano. Il secondo è di Rutilio Namaziano, l'ultimo grande poeta romano (anche se acquisito: lui era di Tolosa), che innalza un entusiastico e nostalgico inno a Roma, proprio nel quinto secolo d. C., pochi anni dopo il sacco di Roma di Alarico (410 d. C.) e pochi anni prima della caduta definitiva dell'Impero Romano (476 d. C.).
Orazio, Carmen saeculare (vv. 9 – 12)
Alme
Sol, curru nitido diem qui
promis
et celas aliusque et idem
nasceris,
possis nihil urbe Roma
visere
maius.
O Sole, datore di vita,
che generi il giorno e lo celi,
e uguale e diverso ritorni
sul cocchio splendente di luce:
che al mondo tu possa vedere
mai niente più grande di Roma.
Rutilio Namaziano, De reditu suo (vv. 63 – 66)
Fecisti
patriam diversis gentibus unam;
profuit iniustis te dominante
capi;
dumque offers victis proprii consortia iuris,
Urbem
fecisti, quod prius orbis erat.
[Tu, o Roma,] hai dato una sola patria a popoli di stirpe diversa; per chi viveva senza una legge è stato un vantaggio essere conquistato dal tuo dominio e, mentre permettevi ai vinti di essere partecipi del tuo diritto, hai trasformato in una Città quello che prima era un intero mondo.
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