Oggi vorrei riflettere su questa sentenza del poeta satirico Decimo Giunio Giovenale (Sat. II, 63):
Dat veniam corvis, vexat censura columbas
che significa
“la critica tende a giustificare i corvi e ad accanirsi contro le colombe”.
Come non vedere un'avvilente coincidenza tra le ingiustizie individuali e sociali del I/II secolo d. C. e quelle analoghe – tuttora esistenti – dell'età contemporanea? Il lamento di Giovenale, profetico ed attuale più che mai al giorno d'oggi, è provocato dall'assistere a un atteggiamento distorto e perenne dell'animo umano, che si manifesta nel giustificazionismo, nel perdonismo e nel buonismo a oltranza. In pratica si privilegia la violenza del prepotente, che fa la prima mossa aggressiva, e si stigmatizza e si colpevolizza chi "si permette" di difendersi, reagendo alla violenza subìta senza poter avere il tempo e la freddezza (è appena stato aggredito!) di misurare con il bilancino la propria (legittima e sacrosanta!) reazione difensiva, a volte devastante... Peggio per chi se l'è andata a cercare. O no? Ma subito intervengono i garantisti da strapazzo, che attaccano il povero Abele e difendono i presunti diritti del miserabile Caino di turno.
I buonisti, seguaci del pensiero unico [è un vantaggio da niente far riposare il proprio cervello e ripetere pappagallescamente le idee o pseudoidee partorite da quello altrui!], ragionano così solo quando si tratta di violenza spicciola, ma se si tratta della violenza di uno Stato sull'altro – è il caso di una guerra – allora operano degli opportunistici “distinguo” sulla base del tornaconto, personale o nazionale, e di “sacri princìpi”, smentiti e rinnegati, però, in altre circostanze, quando è molto più vantaggioso per la propria carriera – è il caso dei politicanti e dei pennivendoli – fare le fusa, strofinando il muso sul prepotente padrone di turno.
No, caro Giovenale: da te a noi non è migliorato proprio niente, anzi...
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