lunedì 10 giugno 2024

Persio e Giovenale: due malpensanti nella Roma imperiale

 Perché ho voluto accomunare Persio e Giovenale nella qualifica – apparentemente negativa – di malpensanti? Prima di rispondere a questo legittimo interrogativo, voglio precisare che la mia definizione di malpensanti è un giudizio di merito, che, a mio parere, non può non risultare positivo, se confrontiamo le loro idee con la degradazione della realtà sociale, in cui ciascuno di loro fu costretto a vivere pur se in tempi diversi.

Persio trascorse la sua breve esistenza – 28 anni scarsi – durante il principato di Nerone, senza mescolarsi alla folla degli opportunisti e degli adulatori, rivolti senza scrupoli alla ricerca di onori e gloria. La sua appartenenza alla scuola filosofica dello Stoicismo non è una motivazione sufficiente, per spiegare le aspre critiche da lui formulate contro l'inconsistente poesia e l'immoralità dilagante dei suoi tempi, perché altri suoi contemporanei famosi, anch'essi stoici, come Seneca, Lucano e Silio Italico, più o meno a lungo gravitarono nell'orbita dell'imperatore e della sua corrotta corte, traendone consistenti benefici, anche se Lucano per breve tempo, Seneca per molti anni, Silio Italico per sempre. Quindi è ben appropriata la definizione di malpensante da me attribuita a Persio, dato che non si piegò mai ad accettare il pensiero dominante, ma neppure a scendere a patti con esso.

Quanto a Giovenale, è sufficiente una conoscenza superficiale di questo autore, per rendersi conto dell'attrito corrosivo esercitato dalle sue satire sulla realtà sociale del I e II secolo d.C. L'indignatio della sua prima fase poetica, apparentemente suscitata dai tempi e dai personaggi della tirannide di Domiziano, in verità va ben oltre, se consideriamo che egli cominciò a pubblicare le sue satire dopo la morte di quel princeps ed affermò esplicitamente che risuscitava i morti come bersaglio delle sue invettive, per evitare le vendette dei vivi, contro i quali, quindi, erano rivolte le sue taglienti e roventi critiche. Ben si attaglia la nomea di malpensante a chi usava parole di fuoco, per bollare il diffuso malcostume femminile, le perversioni sessuali maschili, l'immigrazione scomposta e sregolata di greci, egiziani ed orientali, che invadevano Roma per fare fortuna con tutti i mezzi leciti e – più spesso – illeciti. I suoi contemporanei, tranne quella malalingua di Marziale, che probabilmente – però – non conobbe le sue satire, non lo nominarono mai, segno evidente che non lo apprezzarono, forse perché anche a loro faceva comodo una società del genere o... degenere: scegliete voi.

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