venerdì 31 luglio 2020

Dies irae

"Il giorno dell'ira": sono le prime due parole di una poesia liturgica latina, che ne costituiscono anche il titolo, attribuita al frate Tommaso da Celano, vissuto tra la fine del dodicesimo e la prima metà del tredicesimo secolo. Non c'è più la metrica quantitativa, caratteristica dell'antica poesia latina e greca, ormai sostituita da quella accentuativa, integrata per di più dalla rima.
Argomento di questa poesia è la descrizione di ciò che avverrà il giorno del giudizio universale, quando gli squilli dell'ultima tromba riuniranno tutte le anime davanti al trono di Dio: quelle buone saranno salvate, mentre quelle cattive saranno condannate al fuoco eterno.
Quando avevo una ventina d'anni, uscì un film western, interpretato da Lee Van Cleef e da Giuliano Gemma, il cui titolo era "I giorni dell'ira", palesemente ispirato al titolo di questo testo liturgico.
Trascrivo le prime tre terzine della suggestiva poesia e ne fornisco la traduzione:


Dies irae, dies illa
solvet saeclum in favilla:
teste David cum Sibylla.

Quantus tremor est futurus,
quando judex est venturus,
cuncta stricte discussurus.

Tuba mirum spargens sonum
per sepulcra regionum,
coget omnes ante thronum.

Il giorno dell'ira, quel giorno
ridurrà il mondo in cenere:
lo assicurano David e la Sibilla.
Quanto sarà grande la paura,
quando starà per venire il giudice,
che punirà severamente tutte le colpe!
La tromba, emettendo un mirabile suono
attraverso i sepolcri di ogni luogo,
riunirà tutti davanti al trono...

Il resto lo vedremo di persona al momento opportuno.












domenica 26 luglio 2020

Siamo tornati!



26 luglio 2020:  Verona - Lazio  1 - 5
e Ciro il Grande ha fatto terno.
Alla faccia dei rosiconi...

giovedì 23 luglio 2020

L'ultimo dei miei libri



Ecco il mio ultimo libro freschissimo di stampa e appena arrivatomi a casa. Come già sanno i miei affezionati lettori, è il secondo libro che dedico allo studio del pensiero di questo straordinario poeta latino. Perché possiate capire - almeno a grandissime linee - quale sia l'argomento di questa mia opera, trascriverò la presentazione che ho composto per la quarta pagina di copertina:

L'autore non ha inteso analizzare e interpretare il pensiero di Lucrezio come esposto espressamente nel suo poema De rerum natura, ma andare ben al di là. Scopo, infatti, di questo saggio è prendere in esame quegli spunti e quegli accenni che, pur determinati e resi plausibili dalla trattazione poetica di un argomento così logico come la dottrina epicurea, aprono scorci suggestivi e si prestano ad essere i battistrada di un diverso percorso ermeneutico.

La seguente è la relativa scheda bibliografica:

Titolo: Al di là di Lucrezio
Autore: Marcello Parsi
Casa editrice: Youcanprint
Pubblicazione: Luglio 2020
Pagine: 102
ISBN: 978-88-31684-83-5
Prezzo: € 10, 00

mercoledì 22 luglio 2020

Homo homini lupus

Questa sentenza latina, tristemente famosa e citata spesso con un pizzico di rammarico, vuol dire:

l'uomo è un lupo per l'uomo.

La frase originaria, però, non è esattamente questa, perché il primo a citarla è stato il commediografo Plauto nella commedia Asinaria (atto II, scena IV, v. 495) in questa precisa forma:

lupus est homo homini,

che, con l'aggiunta di est (= è) e la posizione iniziale, invece che finale, di lupus, non ne altera minimamente il significato.
Si tratta, come è evidente, di una constatazione amara, della realistica presa d'atto che gli uomini sono mossi da fini esclusivamente egoistici, e che si comportano da spietati predatori nei confronti dei loro simili, mostrandosi sempre pronti ad approfittarsi dei più deboli e inermi, per soddisfare i propri istinti o conseguire il proprio tornaconto.
Ma lo studio della letteratura latina può avere anche una funzione consolatoria, perché a una frase così cinica, come quella scritta da Plauto, possiamo contrapporne molte altre, permeate di altruismo, che sostengono il contrario e sono quasi una carezza per la nostra anima. Citerò le due più belle.
Il commediografo Publio Terenzio Afro nella commedia intitolata Heautontimorùmenos (= il punitore di se stesso) nel verso 77 fa pronunciare al vecchio Cremete le seguenti frasi:

homo sum, humani nil a me alienum puto
sono uomo e penso che niente di umano mi sia estraneo.

A sua volta il poeta satirico Giovenale nella XV satira (vv. 140 - 142) fa una considerazione molto simile:

Quis enim bonus... ulla aliena sibi credit mala?
quale persona dall'animo buono... può credere che i dolori altrui le siano estranei?

In queste due affermazioni trovo sentimento autentico, ma nella seconda anche una sottile venatura di malinconia: non per niente nel brano immediatamente precedente l'aspro satirico di Aquino ha appena parlato del dono divino delle lacrime, che distingue gli uomini dalle bestie...
No: lo studio della lingua e della cultura latina non si può risolvere in un semplice problema di sterile erudizione, ma deve servire ad arricchire la nostra vita interiore.
    



martedì 21 luglio 2020

Busillis

Questa parola para-latina non ha un significato in sé e per sé, dato che è il frutto di un fraintendimento e di una conseguente storpiatura. Alla base c'è una storiella molto istruttiva.
Immaginate un amanuense alquanto ignorantello, che nei secoli dell'alto medioevo ha il compito di copiare a mano (non era stata ancora inventata la stampa) i testi classici della letteratura latina pagana o cristiana. Un giorno è alle prese con il testo latino dei Vangeli, la cosiddetta Vulgata, opera del coltissimo S. Girolamo. Premetto che nei codici manoscritti la scrittura era continua e non si usava ancora lo stacco tra una parola e l'altra. Mentre sta copiando, gli capita l'espressione Indiebusillis. Essa andrebbe frazionata correttamente in tre parole: in diebus illis, che nel latino tardo (quello post classico) significano: "in quei giorni" (nel latino classico si direbbe semplicemente diebus illis, senza la preposizione in). Essendo un po' ignorante, egli procede a separare in da die (che significano: "nel giorno"), ma gli resta una parola incomprensibile: busillis, che lo tormentò per il resto della sua vita.
Attualmente la parola busillis sta a indicare un problema insolubile, un vero e proprio rebus, parola latina di cui mi occuperò prossimamente.   

venerdì 17 luglio 2020

Dat veniam corvis, vexat censura columbas

Questo verso del poeta satirico Decimo Giunio Giovenale (Sat. II, 63) significa:
la critica tende a giustificare i corvi e ad accanirsi contro le colombe.
Come non vedere un'avvilente coincidenza tra le ingiustizie individuali e sociali del I/II secolo d. C. e quelle analoghe - tuttora esistenti - dell'età contemporanea? Il lamento di Giovenale, profetico ed attuale più che mai al giorno d'oggi, è provocato dall'assistere a un atteggiamento distorto e perenne dell'animo umano, che si manifesta nel giustificazionismo, nel perdonismo e nel buonismo a oltranza. In pratica si privilegia la violenza del prepotente, che fa la prima mossa aggressiva, e si stigmatizza e si colpevolizza chi "si permette" di difendersi, reagendo alla violenza subìta senza poter avere il tempo e la freddezza (è appena stato aggredito!) di misurare con il bilancino la propria (legittima e sacrosanta!) reazione difensiva, a volte devastante... Peggio per chi se l'è andata a cercare. O no?
Ma subito intervengono i garantisti da strapazzo, che attaccano il povero Abele e difendono i presunti diritti del miserabile Caino di turno... No, caro Giovenale: da te a noi non è cambiato proprio niente.     

giovedì 16 luglio 2020

Oggi è il compleanno...

... della bella e brava Alessia, la mia allieva ideale, ma fortunatamente reale. Il suo è un compleanno speciale, perché la fanciulla oggi compie i suoi primi diciotto anni.
Tanti auguri di ogni bene, cara Alessia! 

mercoledì 15 luglio 2020

Oggi è il compleanno...

... del caro cognato Paolo, compagno di fede laziale, grande estimatore dei miei libri, conversatore arguto e pieno di spirito.
Tanti auguri e un caloroso abbraccio!  

lunedì 13 luglio 2020

Eccolo!



Nuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam!
Vi annuncio una grande gioia: abbiamo il... libro tanto atteso. Mi è stato comunicato da poco che il libro è ufficialmente pubblicato ed è già acquistabile (€ 10) online presso la casa editrice Youcanprint. Tra 7/10 giorni sarà acquistabile su tutte le librerie online (come IBS, Unilibro, Libreria Universitaria, Amazon, etc.) e prenotabile presso le librerie fisiche. 
Il suo codice ISBN (= la sua carta d'identità ufficiale, che gli permette di essere presente a pieno titolo nel mercato librario) è: 9788831684835.

venerdì 10 luglio 2020

Un altro Lucrezio... (penultimo avviso)

Come promesso, aggiorno i miei lettori e le mie gentili lettrici sull'imminente pubblicazione del mio ultimo libro: Al di là di Lucrezio. Ieri ho approvato le bozze e ho inviato alla casa editrice il mio formale VISTO SI STAMPI. Comincia il conto alla rovescia...

giovedì 9 luglio 2020

Salve! Un saluto equivoco

Alla ricerca di un modo di esprimersi sempre più diretto, essenziale e onnicomprensivo, molti hanno preso l'abitudine di ricorrere a una formula di saluto, che sembra conciliare opposte esigenze: salve!
A che cosa alludo, parlando di opposte esigenze? A volte - spesso i giovani, ma non solo - non sanno se salutare in modo più o meno confidenziale, se dare del "tu" o usare il più distaccato "lei", se impegnarsi nella variegata casistica oraria del buongiorno / buon pomeriggio / buonasera, e, quindi, ricorrono a questa paroletta, di cui spesso ignorano l'origine e il significato preciso, ma che sembra concentrare in sé tutto e il contrario di tutto. Rivolgendosi a qualcuno con uno squillante salve!, si illudono di usare un tono confidenziale e nel contempo rispettoso (= ti strizzo l'occhio, però mantengo le distanze...), salvando - come si dice - capra e cavoli.
Ma è davvero così? Ovviamente no!
Quanti sono coloro che sanno o che, pur sapendolo, si ricordano che il salve è una parola latina, cioè la seconda persona singolare (tu!!!) dell'imperativo presente del verbo salvère, che vuol dire essere in buona salute, stare bene? E quindi, quel "tu" che si vuole evitare, e che viene fatto uscire dalla porta, rientra però dalla finestra e il presunto distacco, che viene sparato in faccia al malcapitato di turno, perde ogni colorito formale e convenzionale, per diventare un super confidenziale: stammi bene (con annessa e ideale pacca sulla spalla).
Come già mi è capitato di dire, pur tenendo presenti questi limiti e queste riserve, ciascuno è libero di salutare come meglio crede, purché nel saluto sia spontaneo e se stesso. Finisco con un celebre esempio caricaturale, il carme 43 di Catullo, in cui i difetti di una giovane sono evidenziati tramite litoti (la litote è una figura retorica basata sulla negazione di una qualità positiva, per indicare il difetto opposto):

Salve, ragazza dal naso non piccolissimo,
dal piede non aggraziato, dagli occhi non neri,
dalle dita non affusolate, dalla bocca non asciutta...

  

lunedì 6 luglio 2020

Storia semiseria di un 7- in latino

Era destino che io studiassi il latino (e il greco) e che poi li insegnassi. Ero in età prescolastica - avevo appena 5 anni - quando mi si manifestarono alcuni segnali, che io allora non compresi, ma che furono interpretati dai miei congiunti come il futuro percorso della mia vita.
Fino ai 6 anni e mezzo, quando in prima elementare fui operato alle tonsille, ero spesso malaticcio e inappetente, ed ero costretto a ricorrere a iniezioni di penicillina. Stavo a letto in uno dei frequenti periodi di indisposizione e per passare il tempo, leggiucchiavo un libretto. A cinque anni, prima di andare a scuola, io già sapevo leggere, perché me l'aveva insegnato un'amica di famiglia, che era appunto una maestra. Il libretto che leggevo era quello che si usava abitualmente per la messa, che a quei tempi era tutta rigorosamente in latino. A me piaceva leggere ad alta voce quelle strane parole, di cui ovviamente non comprendevo il significato, ma il cui suono mi affascinava. Tutti i miei parenti, che si accorgevano di quel mio strano comportamento, se ne meravigliavano e mi pronosticavano un futuro da latinista. Nello stesso periodo il medico di famiglia, che seguiva il decorso delle mie continue tonsilliti, una volta mi chiese scherzando che cosa avrei voluto fare da grande e io gli risposi facendogli la linguaccia. Il gesto dispettoso di mostrargli la lingua fu da lui interpretato in modo inatteso: infatti disse ai miei che io sarei diventato un professore di lingue, cosa che fu subito collegata alla mia istintiva e spontanea predilezione per il latino, e quindi... non è poi tanto strano che io mi sia trovato a insegnare per tanto tempo e con tanta soddisfazione (mia e di certi miei allievi) proprio due lingue come il latino e il greco.
Al liceo classico non ero il primo della classe, perché stentavo a prendere la sufficienza in fisica, in chimica, in storia e in filosofia (con il prof di storia e filosofia c'era una profonda e motivata antipatia reciproca), mentre andavo bene in italiano e matematica e benissimo in storia dell'arte. In latino e in greco ero il migliore in assoluto e nessuno riusciva a starmi alla pari, anche tra le ragazze (ce n'erano due molto brave in tutte le materie). Quando il professore ci dava delle versioni di latino o greco da tradurre a casa, per sicurezza i più bravi e le più brave mi chiedevano di confrontare le loro traduzioni con le mie, mentre i meno bravi e le meno brave mi chiedevano di poterle scopiazzare. I voti che prendevo in latino e in greco oscillavano tra l'8 e il 9, mentre gli altri più bravi (maschi o femmine) stavano tra il 7 e l'8, come in tutte le altre materie, in cui, a differenza mia, prendevano però anche 9.
Il professore di latino e greco in III liceo ci faceva esercitare in classe in modo particolare: faceva trascrivere sulla lavagna un testo greco, tratto dal libro delle versioni greche, e voleva che noi lo traducessimo seduta stante non in italiano, ma in latino. Ovviamente, chi veniva chiamato a copiare la versione greca sulla lavagna, era anche costretto a tradurla in latino. Il giorno di una simile esercitazione i meno bravi potevano stare tranquilli, perché erano sicuri di non essere mai chiamati, ma i più bravi e le più brave tremavano, perché sapevano che la vittima di turno sarebbe stata scelta tra loro, esponendosi al rischio di una brutta figura E allora tutti i bravi e tutte le brave, si giravano verso di me con lo sguardo implorante, invitandomi ad offrirmi come volontario, cosa che io facevo molto volentieri, sia per ottenere un sorriso di riconoscenza dalle belle ma insicure latiniste e greciste, sia perché mi divertivo a tradurre simultaneamente dal greco al latino e ci riuscivo bene.
Nei compiti in classe di latino e greco era impossibile copiare, perché il professore dava quattro versioni diverse, per cui non c'era nessuno che avesse una versione uguale a un compagno adiacente, che stesse davanti, dietro, a fianco o in diagonale. Inoltre cambiava la disposizione degli alunni, collocando i più bravi nelle prime file dei banchi, in modo da poterli tenere sott'occhio, casomai volessero passare la traduzione a qualcuno lontano.
Una volta per un compito in classe di III liceo, si trattava di una versione dal latino in italiano (allora c'era pure quella dall'italiano in latino), il professore mi aveva messo nel banco di fronte alla cattedra e al mio fianco, sulla destra, aveva fatto sedere XXX, una delle due più brave, la più carina e simpatica, una ragazza molto studiosa ma molto semplice, che non si dava arie, mentre l'altra, anch'ella un'ottima ragazza, spesso assumeva degli atteggiamenti da intellettualoide. Tra me e XXX c'era un'istintiva simpatia reciproca, ma avevamo entrambi un carattere riservato e di poche parole.
Dopo un po' eravamo tutti e due concentrati sui nostri testi, quando casualmente mi accorsi che, accavallando le gambe, il suo grembiule (le ragazze allora portavano un grembiule nero) le era salito insieme al bordo della gonna, lasciando scoperte le sue cosce per non più di una dozzina o una quindicina di centimetri. Da allora persi la concentrazione e fui attratto più dalle sue gambe che dallo studio della versione. Insomma non fui all'altezza delle mie solite prestazioni e invece di un 8, di un 8 e mezzo o di un 9 presi un modesto 7-. Ma fui contento lo stesso...     

domenica 5 luglio 2020

Un altro Lucrezio...

Carissime lettrici e carissimi lettori, sono lieto di annunciarvi che è in dirittura d'arrivo il mio prossimo libro, appena concluso, di cui la casa editrice sta preparando le bozze da sottoporre alla mia valutazione. Vi posso anticipare il titolo: Al di là di Lucrezio, il mio secondo libro dedicato all'autore del poema De rerum natura. A differenza del primo (Lucrezio e il canto del nulla), questo non approfondisce il pensiero del poeta latino così com'è espresso nella sua opera, ma pretende di andare al di là, inoltrandosi su alcuni sentieri intellettuali aperti, spesso involontariamente, dal caro Lucrezio, cioè da Lucrezio Caro, anche a dispetto delle sue convinzioni e delle sue intenzioni. Ho preteso troppo? Ci ho messo troppo di mio? Staremo a vedere.
Comunque vi terrò aggiornati. 

sabato 4 luglio 2020

Alias

Questa parola, usata ogni tanto nella lingua corrente, è un avverbio latino, che significa altrimenti, altrimenti detto, ovvero. Essa si interpone tra il nome vero di una persona e il suo pseudonimo o soprannome o la qualificazione con cui è generalmente nota. Per esempio: Giuseppe Garibaldi alias l'Eroe dei due mondi. Nel campo informatico si può accostare al nickname, quel nome fittizio che ogni utente sceglie, per essere individuato all'interno di una comunità virtuale. Anche questa è un'ulteriore dimostrazione dell'attualità del latino, che spesso è in grado di dire la sua pure nell'ambito tecnologico.
Statemi bene.
Marcello Parsi alias Ollecram alias Marxipar. 

venerdì 3 luglio 2020

Oggi è il compleanno...



... del sottoscritto.

Poiché mi sembra fuori luogo e poco elegante rivolgermi elogi ed auguri da solo, mi affido al vostro buon cuore: avete a disposizione tutto lo spazio dei commenti. Fate un po' voi...
                                               Il vostro Ollecram

Post in evidenza

Festìna lente

Questo motto latino, tuttora molto usato, significa: affréttati lentamente, e pare che fosse pronunciato spesso dall'imperatore Augusto,...