martedì 25 agosto 2020

Invito ai miei lettori

Carissime lettrici e carissimi lettori, come avrete notato, ho modificato la veste del mio blog sia nei colori che nella disposizione di alcuni elementi (le pagine non stanno più nella colonna laterale ma sotto l'intestazione). Inoltre ho aggiunto un elemento importantissimo: il modulo di contatto. Se evidenziate lo spazio email, vi apparirà la mia email, su cui dovete cliccare per trasferirla stabilmente nel suo spazio apposito. Poi nello spazio messaggio digitate il testo e cliccate su invio. L'email mi arriverà in tempo reale. Non è utile e bello al tempo stesso?
Esaminate bene in tutti i suoi aspetti il mio blog rinnovato e poi nei commenti esprimete il vostro giudizio. M'interessa sapere se e quanto vi piace.
Rispondetemi: conto sulla vostra collaborazione. 

domenica 23 agosto 2020

Acta est fabula. Plaudite!

Lo storico latino Svetonio, autore delle "Vite dei dodici Cesari", nella sezione dedicata ad Augusto, riporta le presunte parole che il primo imperatore romano avrebbe pronunciato in punto di morte. Rivolto agli amici presenti avrebbe detto:

Acta est fabula. Plaudite!
Lo spettacolo è finito. Applaudite!

Quella era la formula con cui uno degli attori dichiarava conclusa la rappresentazione teatrale - sia le commedie che le tragedie erano definite fabulae -, invitando gli spettatori ad applaudire.
Augusto, che tra i tanti pregi e difetti (come tutti noi) aveva però il merito di essere un uomo spiritoso, mise in mostra la sua arguzia anche negli ultimi istanti, paragonando la sua vita, ormai giunta al termine, a una rappresentazione scenica. Avrà inteso riferirsi a una commedia o a una tragedia?
Noi, in entrambi i casi, non possiamo fare a meno di tributargli il meritato applauso. 


sabato 22 agosto 2020

Onore a Persio!

Aulo Persio Flacco (34 - 62 d. C.), nato a Volterra da una famiglia di origine etrusca, fu l'unico dei grandi scrittori dell'età neroniana (Seneca, Lucano, Petronio, Silio Italico e lo stesso Persio) a non aver intrecciato rapporti, neppure transitori, con Nerone e la sua corte. Si convertì allo Stoicismo a 16 anni, quando divenne discepolo del filosofo Anneo Cornuto, a cui fu legato da un reciproco sentimento di stima e di affetto. Morì a 28 anni per una non meglio precisata grave patologia allo stomaco. Ci ha lasciato 6 satire in esametri e 14 versi coliambi.
Nel seguente brano, che potremmo intitolare "La cultura derisa dagli ignorantoni", egli dimostra una notevole abilità icastica e una raffinata capacità mimetica:

Ecco che un centurione, che puzza come una capra,
dice: "Quello che so, mi basta né m'interessa
d'essere un Arcesilao o afflitto come un Solone,
che con la testa inclinata trafigge la terra con gli occhi,
mentre borbotta tra sé e biascica irati silenzi
e le parole soppesa col labbro sporto in avanti,
riflettendo sui vaneggiamenti di un vecchio malato,
che nulla nasce dal nulla e nulla nel nulla ritorna.
Questo ti fa impallidire? Per questo rinunci anche al pranzo?"
Ridono tutti i presenti e la gioventù muscolosa
le vibranti risate raddoppia col naso arricciato.
(Satira III, 77 - 87)


Da notare l'irresistibile effetto comico prodotto dalla caricatura del filosofo assorto, che sembra fotografato, tanto sono curati tutti i particolari del suo atteggiamento, e che viene suggellata dal divertente poliptoto, simile a una girandola di fuochi d'artificio: 
de nihilo nihilum, in nihilum nil posse reverti. 
Si tratta di una mia traduzione poetica, con cui ho voluto riprodurre in italiano lo stesso ritmo dell'esametro latino e lo stesso numero di versi dell'originale. La trovate a pagina 33 del mio libretto dedicato a Persio "Ho incontrato un poeta etrusco", di cui potete leggere altri brani in questo blog nella pagina intitolata "I miei saggi letterari" e di cui vi mostro la copertina:


venerdì 21 agosto 2020

Sondaggio: graduatoria finale.

Prima di comunicarvi le mie scelte, vorrei fare una premessa. Gli scrittori latini hanno scritto per essere letti ed apprezzati da tutti, non solo da un ristretto numero di filologi classici con l'aria supponente e la puzza sotto al naso. Per cui le mie preferenze non pretendono assolutamente di valere più di quelle di chiunque altro. Da filologo classico posso fare un discorso critico più articolato e motivato, posso cogliere sfumature più sottili, che solo un'approfondita conoscenza della lingua e un'assidua frequentazione dei classici latini sono in grado di permettere, ma ciò non interferisce con le sensazioni e i gusti personali, tutti rispettabili.
Il mio ordine di gradimento è C - A - D - B.
Do il primo posto alla sentenza di Persio, originale rielaborazione della massima più famosa del pensiero umano: Γνῶθι σεαυτόν (= conosci te stesso), incisa sul frontone del tempio di Apollo a Delfi. Chi non si sforza di conoscere se stesso, è condannato ad ignorare gran parte della propria personalità, ad accettare in modo acritico le mode e le idee dominanti, a cui non può contrapporre nessun pensiero veramente suo: in poche parole, ad essere succube del pensiero unico, del conformismo, della più abietta e ridicola omologazione. Cercarsi nel proprio animo, perdersi nella propria dimensione interiore significa anche - e soprattutto - prendere possesso della propria identità unica e irripetibile, ancorarsi a una realtà che trascende la banale, pur se apprezzabile, corporeità e che apre, o può aprire, inaspettati orizzonti.
Colloco la frase di Giovenale al secondo posto, perché la ritengo vera e realistica al cento per cento. Lo stesso piacere, ripetuto meccanicamente con rigida monotonia, porta all'assuefazione e alla noia. Chi mangerebbe, senza avere crisi di rigetto e conati di vomito, bignè alla crema o cannoli siciliani a colazione, pranzo, merenda e cena per una settimana di seguito?
E veniamo a Petronio e alla sua visione della vita come un naufragio. Capisco che una simile concezione sia l'esatto contrario di ciò che pensa un giovane o una giovane, "assai contenta / di quel vago avvenir che in mente avevi". Io stesso (un ex giovane, molto ex) in alcuni momenti resto perplesso davanti a un pensiero così radicalmente  sconsolante, e vedo nelle riposte risorse dell'Io una possibile ancora di salvezza: ecco perché, malgrado tutto, ho dato il primo posto a Persio. Dico: malgrado tutto, perché ho comunque il vago sentore che Petronio in un certo modo non sia troppo lontano dal vero...
Il quarto posto assegnato a Orazio non è davvero punitivo, o segno di disprezzo: l'ho sempre considerato e lo considero uno dei più grandi poeti della letteratura mondiale, tanto che su di lui ho scritto due dei miei saggi letterari. Però quella sentenza, come l'ho già definita in sede di presentazione, mi appare troppo paradossale per essere vera e per essere vissuta realmente giorno per giorno. E' una bella battuta a effetto, ma non è, a mio parere, una frase veramente consolante, come lui vorrebbe farla passare, rivolgendola all'angosciato Tibullo. Sul valore e sull'interpretazione del tempo Orazio ha scritto tanti versi molto più profondi e suggestivi.
Ecco, dunque, la classifica finale:

Punti 22: (C) PERSIO
Punti 17: (B) Orazio
Punti 12: (A) Giovenale
Punti   9: (D) Petronio

In onore del vincitore il prossimo post sarà dedicato a uno dei brani più belli delle Satire di Persio.

mercoledì 19 agosto 2020

Sondaggio in arrivo!

Spero che abbiate notato qualche cambiamento, sia nel titolo, che significa: le voci/le espressioni/le sentenze più famose degli antichi (ovviamente: latini), sia nella struttura della facciata principale, sul cui lato destro ho aggiunto "Quattro sentenze da meditare", la rubrica "Post in evidenza" e il logo di Blogger. Ho dovuto modificare il titolo per evitare la sovrapposizione con un titolo analogo, che, essendo molto precedente, indirizzava su di sé qualunque ricerca.
Fatta questa doverosa premessa, passo all'effettivo argomento di questo post.
Come ogni blog che si rispetti, anche il mio ogni tanto proporrà dei sondaggi. Questo è il primo e riguarda le quattro sentenze cui ho accennato poco prima. Poiché sono scritte in latino, le tradurrò in italiano, ne farò una breve ma chiara presentazione e poi le sottoporrò al giudizio delle gentili lettrici e dei gentili lettori. Le passerò in rassegna nell'ordine in cui le ho disposte, che non corrisponde minimamente a un ordine di gradimento, né diretto né inverso.

A. Se vuoi godere di un piacere, devi usarlo raramente (Giovenale).
Si tratta dell'ultimo verso (il 208) della satira XI di Decimo Giunio Giovenale, in cui il poeta esprime il concetto della metriòtes, il senso della misura, già celebrata da Orazio nella sua I satira con l'espressione: est modus in rebus (= c'è una misura nelle cose). Chi conosce superficialmente Giovenale, resterà sorpreso, perché in questa sentenza, come in tutta la produzione finale (satire X - XVI), si attenua l'aspra e furente indignatio, che aveva animato almeno le prime sei e che molti con un giudizio parziale e riduttivo hanno visto e vedono come sua caratteristica peculiare.

B. Pensa che ogni giorno sia spuntato per te come se fosse l'ultimo: ti giungerà gradita l'ora che non avrai sperato di vivere (Orazio).
Sono i versi 13 - 14 dell'epistola IV del 1° libro, indirizzata all'amico poeta Albio Tibullo, angosciato o per una delusione d'amore o per un presentimento di morte imminente (morirà giovane più vicino ai trenta che ai quaranta anni).
Uno dei tanti temi, trattati da Orazio nelle sue diverse raccolte poetiche, è lo sconforto davanti alla fuga del tempo, il timore che agita la sua anima, quando egli pensa al futuro, ignorando se esso ci sarà e, in caso positivo, come potrà essere. Questa forma di cronofobia viene fronteggiata dal poeta con una tattica difensiva centrata sulla valorizzazione del presente (carpe diem!) e sul pensiero paradossale che la vita sia una serie di ultimi giorni, nella quale ciascuno di quelli successivi sia una lieta e inattesa sorpresa: un insperato giorno in più da vivere. 

C. Non cercarti al di fuori di te (Persio)
Questo emistichio (= mezzo verso), collocato nella seconda metà del settimo esametro della prima satira non è stato apprezzato come meriterebbe. Infatti, anche i filologi estimatori di Persio tendono a banalizzarlo, ponendosi una sterile alternativa, che non conduce a grandi esiti interpretativi: tenendo presente che il testo latino è nec te quaesiveris extra, il futile dilemma è se considerare il te come complemento oggetto di quaesiveris (= non cercarti al di fuori), oppure in dipendenza di extra (= non cercare [chi? che cosa?] al di fuori di te). Io preferisco sdoppiare il te e collegarlo sia al verbo che alla preposizione: "non cercarti al di fuori di te". In questo modo otteniamo un pensiero molto profondo, che ci invita alla ricerca dell'autocoscienza. Si tratta dell'esigenza di entrare in possesso della nostra identità, unica e irripetibile, senza tener conto dei diversissimi giudizi emessi dagli altri sulla nostra natura e sul nostro comportamento; si pone altresì il problema di scavare nel nostro animo per cercare di capire chi siamo veramente e quale sia il dovere che siamo chiamati a svolgere nella vita, quale sia - cioè - la nostra vocazione.

D. Se ci rifletti bene, la vita è tutta un naufragio (Petronio)
L'amara considerazione, contenuta nel capitolo CXV del Satyricon, vede nella presenza ineliminabile della morte l'annullamento di ogni valore, di ogni scopo che renda la vita degna di essere vissuta. L'assurdità dell'esistenza concepita da Petronio, che riprende alcune dolenti riflessioni lucreziane e anticipa di diciannove secoli il tema analogo svolto da Albert Camus, viene ribadita verso la fine dello stesso capitolo: qualunque cosa farai, il punto di arrivo sarà sempre lo stesso.

Che cosa dovete fare?
Vorrei che nello spazio dedicato ai commenti, indicaste le lettere corrispondenti ai brani (A - B - C - D) nell'ordine di gradimento, dal più al meno, in modo che io possa stilarne una classifica in ordine gerarchico. Sarebbe molto gradito, e in linea con la finalità di un blog (che dovrebbe basarsi sulla collaborazione e sull'interazione), se esprimeste anche uno o più giudizi. Naturalmente voti o giudizi anonimi non saranno presi in considerazione.
Io ho fatto il mio: adesso vi passo la palla.   
   

sabato 15 agosto 2020

Feriae Augusti

Le Feriae Augusti furono istituite dall'imperatore Augusto nel 18 a. C. come festività dedicate al riposo e allo svago nel periodo più caldo dell'estate, quello tra l'1 e il 15 agosto. La parola Feriae, infatti, significa vacanze, giorni di riposo, mentre il mese di agosto prende il nome dall'imperatore Augustus: Feriae + Augusti = Ferragosto.
Con il passare del tempo il Ferragosto si stabilizzò il 15 agosto, abbracciando i giorni immediatamente precedenti e successivi, finché in ambito cristiano (V secolo d. C.) si affermò il culto dell'Assunzione di Maria Vergine al cielo in anima e corpo, che dal papa Pio XII fu trasformato in vero e proprio dogma nel 1950. Alla festività dell'Assunzione fu assegnata la data del 15 agosto, secondo l'abituale usanza cattolica di sovrapporre feste cristiane a precedenti solennità pagane.  Il risultato fu ed è una doppia opportunità di festeggiamenti: gite fuori porta o in località marine, processioni, fiere e sagre paesane, gare sportive... Insomma ce n'è per tutti i gusti e per tutte le convinzioni, religiose o no.

Buon Ferragosto a tutti!!! 

giovedì 13 agosto 2020

E il cervello?

Ogni tanto mi torna in mente qualche favoletta di Fedro, con cui mi confrontai e talora mi scontrai nei beati anni della mia Scuola Media, in un tempo in cui essa contemplava l'obbligatorietà dello studio del latino in tutti e tre gli anni. Allora mi apparivano simpatiche ma adesso le giudico anche formative, perché ci mostrano la vita nel suo aspetto reale, che non è davvero la visione rosea ed edulcorata di un mondo tipo Mulino Bianco, ma qualcosa di assai impegnativo, una corsa ad ostacoli su un percorso disseminato di trappole e tranelli, in cui spesso quelli che ci appaiono amichevoli compagni di viaggio, si rivelano freddi opportunisti senza cuore e senza scrupoli. Oggi ne voglio proporre una breve e molto carina, la settima del I libro:

Personam tragicam forte vulpes viderat;
quam postquam huc illuc semel atque iterum verterat,
"O quanta species" inquit, "cerebrum non habet!"
Hoc illis dictum est quibus honorem et gloriam
Fortuna tribuit, sensum communem abstulit.

Ecco la mia traduzione:
Per caso una volpe aveva visto la maschera di un attore tragico; e, dopo averla girata una prima e una seconda volta da una parte e dall'altra, disse: "Sì, a vederla è molto bella, ma il cervello dov'è?"
Questa favola è diretta a coloro a cui la sorte ha donato onore e gloria, ma ha tolto il buon senso.

La morale che Fedro aggiunge alle sue favole, ora all'inizio, ora - come in questo caso - alla fine, non sempre ci lascia soddisfatti, perché spesso ci rendiamo conto che il suo commento si riferisce principalmente a qualche fatto o persona di sua conoscenza, che noi ignoriamo. Nel caso in questione egli trascura la bellezza dell'aspetto - presente invece nelle parole della volpe - per riferirsi all'onore e alla gloria (probabilmente sta pensando a qualche uomo politico) e alla parallela assenza del senso comune, cioè del buon senso. Per me sarebbe stato più spontaneo e intuitivo abbinare la bellezza alla stupidità, ossia alla mancanza di intelligenza, tenendo presente che essa deriva dalle parole latine inter (= tra) e legere (= scegliere), da cui il verbo intelligere (= capire). Ossia, chi non è intelligente non è in grado di scegliere tra un'idea valida e una erronea, tra un comportamento giusto e uno sbagliato e, di conseguenza, risulta privo di buon senso.
Ma la favola l'ha scritta Fedro, che è libero di arrivare alle conclusioni che meglio crede: noi siamo liberi di aggiungere le nostre.  


mercoledì 12 agosto 2020

Traduttore = traditore

Chi tra i miei lettori ha fatto o sta facendo studi classici, nel senso che ha delle cognizioni di greco e di latino, o anche soltanto di latino - ai miei tempi il latino dei tre anni di scuola media dava una preparazione che a malapena può essere raggiunta oggi da alcuni (pochi...) studenti del III classico o del V scientifico -, conosce bene per esperienza quanto sia complessa e irta di difficoltà la traduzione dal greco e/o dal latino all'italiano. Le regole grammaticali molto particolareggiate e ricche di eccezioni, la variegata sintassi dei casi e quella ancor più complicata del periodo, a cui si aggiungono i personalissimi modi di esprimersi dei diversi scrittori, fanno in modo che i compiti scritti di latino e greco - le famigerate versioni in classe - costituiscano un incubo e facciano venire i sudori freddi specialmente agli studenti e alle studentesse del liceo classico, che sono costretti ad affrontare la traduzione dal latino o dal greco come seconda prova scritta dell'esame di maturità.
Tradurre... Ma che cosa vuol dire questa parola?
Si tratta di una parola derivata dal latino traducere, composta da trans (= oltre) e ducere (= condurre, portare), con il significato di condurre/portare oltre, ossia: trasportare, trasferire. E infatti una traduzione dal latino o dal greco consiste nel trasferire in italiano un testo scritto originariamente in una delle due lingue classiche.
Ammesso (e non concesso) che lo studente riesca a superare tutti i trabocchetti della grammatica e tutte le tagliole della sintassi, poi deve evitare di farsi inghiottire dalle sabbie mobili degli stili dei vari prosatori: c'è chi usa uno stile asciutto e lineare, che si affida all'essenzialità, talora assai ermetica; chi uno stile saltellante e arzigogolato, ricco di immagini e figure retoriche; chi una via di mezzo. Ebbene la vera difficoltà si verifica proprio nel momento in cui si deve "trasferire" il testo latino o greco in italiano.
I guai cominciano adesso, perché il malcapitato studente si trova davanti a un bivio: tradurre in modo letterale o tradurre a senso? Alcuni professori inculcano nei loro alunni la convinzione che sia obbligatorio tradurre alla lettera, perché solo così il discente può dimostrare al docente di aver capito tutti i nessi grammaticali e sintattici, mentre una traduzione a senso darebbe l'impressione di un traduzione "a orecchio", cioè approssimativa e superficiale e, quindi, solo casualmente giusta.
La mia lunga esperienza di traduttore (sette libri dedicati ad alcuni classici latini) e di insegnante mi permette di affermare con la massima sicurezza che ciascuno di quei due sistemi, preso in sé e per sé, è sbagliato, in quanto parziale. La traduzione a senso non può assolutamente prescindere da una preventiva fase di traduzione letterale, ma questa da sola non è sufficiente, perché non ha alcun senso cercare di esprimere ciascuna parola latina/greca con una corrispondente parola italiana, dato che c'è un abisso tra il modo in cui è strutturato un discorso italiano, e quello in cui è strutturato uno latino o greco. Questa differenza strutturale tra un periodo italiano e quelli delle lingue classiche fa sì che, volenti o nolenti, non possiamo fare a meno di allontanarci dalla rigida fedeltà letterale, perché - e il punto fondamentale è questo - il vero e unico scopo di una traduzione consiste nel trasferire da una lingua all'altra non le singole parole, ma i concetti che sono espressi per mezzo di esse.       
Vi presento un esempio molto semplice tratto da un autore illustre. Il grande storico latino Tacito nel trattatello in cui racconta ed elogia la vita del suocero Gneo Giulio Agricola, valoroso generale che combatté in Britannia durante l'impero di Domiziano, mette in bocca al ribelle caledone Càlgaco queste parole, rivolte ai suoi compagni prima della battaglia finale, vinta dai Romani (De vita Iulii Agricolae, cap. XXX):
"magnus mihi animus est hodiernum diem consensumque vestrum initium libertatis toti Britanniae fore".
Chi volesse tradurre letteralmente, dovrebbe esprimersi così:
"a me è il grande animo il giorno odierno e il vostro consenso stare per essere l'inizio della libertà per tutta la Britannia".
Però lo studio della sintassi del periodo ci fa capire che da hodiernum fino a fore c'è una proposizione oggettiva, che in latino si rende con il soggetto in accusativo e il verbo all'infinito, mentre in italiano la stessa diventa una dichiarativa all'indicativo, che deve essere introdotta dalla congiunzione "che", assente in latino. E quindi modifichiamo in:
"a me è il grande animo che il giorno odierno e il vostro consenso saranno l'inizio della libertà per tutta la Britannia". 
Ma in italiano l'espressione "a me è il grande animo" è davvero penosa, sia perché il dativo di possesso latino si traduce con il verbo avere: "ho il grande animo", sia perché dobbiamo trovare una parola più significativa di "animo" e più adatta alla situazione.
Potrei usare "convinzione" o, meglio, "speranza". Perciò la traduzione finale è: "Nutro la grande speranza che il giorno odierno e il vostro consenso saranno l'inizio della libertà per tutta la Britannia".
Per tradurre in modo decente, bisogna ragionare così, imparando a passare dalla forma mentis latina o greca alla forma mentis italiana. Un vero insegnante, degno di questo nome, e non un professorucolo qualsiasi che finge di insegnare, ma si limita a giudicare e a valutare con i voti il profitto degli alunni, che non può dipendere davvero dal suo (inesistente) insegnamento, deve guidare i suoi allievi, mostrando e spiegando loro questo metodo, fino a quando saranno in grado di appropriarsene e di procedere da soli.
Come avete visto, per forza di cose ci si deve allontanare dal senso letterale e, in più, interpretare personalmente: ecco perché è venuto fuori il gioco di parole: traduttore = traditore (è una paronomasia), perché, bene o male, chi traduce ci mette sempre del suo e, a volte, rischia di sovrapporsi all'autore che sta traducendo, facendogli dire ciò che non ha detto. Non dovrebbe mai accadere, però... ogni tanto accade...  
  



martedì 11 agosto 2020

Partita a scacchi con la morte



"La morte che gioca a scacchi", dipinto di Albertus Pictor, pittore svedese (c. 1440 - c. 1507).

L'abbinamento tra morte e scacchi è una costante nella storia letteraria di questo gioco e nell'immaginario collettivo. La potenza intellettuale, che comunemente si attribuisce a chi eccelle in questa attività ludica, può sottintendere - agli occhi di un profano - un'intelligenza luciferina, e, quindi, per una spontanea associazione d'idee, un sotterraneo collegamento con ciò che per eccellenza è considerato il frutto del principe delle tenebre, ossia la morte, intesa come annientamento del corpo e dannazione dell'anima.
Basti pensare al film del 1957 "Il settimo sigillo", capolavoro del regista svedese Ingmar Bergman, in cui si assiste alle suggestive e famose scene della partita a scacchi giocata dal cavaliere Antonius Block e la Morte. Ambientato in un Nord Europa, dove regnano la peste e la disperazione, il film presenta il nobile cavaliere Antonius Block, appena tornato da una Crociata, che sulla riva del mare incontra la Morte. Essa pretende la sua vita, ma Antonius la sfida a scacchi, per rimandare il più possibile la propria fine:








    

giovedì 6 agosto 2020

Mi piacerebbe sapere...

... chi è stato il lettore n. 888. Il numero è molto intrigante, ne converrete. Be', vorrei conoscere il suo nome, per congratularmi con lei o con lui.

?????

mercoledì 5 agosto 2020

Né con te né senza di te...


Questa mattina stavo leggendo un articolo di Stefano Greco, ottimo giornalista e grande tifoso della Lazio (il suo sito si intitola "1900", che, per chi non lo sapesse è l'anno di nascita della Società Sportiva Lazio. Per la precisione: 9 gennaio 1900).
L'articolo in questione commemorava la morte prematura (47 anni!) di Giuliano Fiorini, avvenuta il 5 agosto di quindici anni fa per un male incurabile. Fiorini fu uno dell'epica e gloriosa squadra del -9. Nel campionato 1986-87 la Lazio si trovava in serie B, ma per lo scandalo del calcio-scommesse, in cui erano stati implicati molti suoi giocatori, essa evitò la retrocessione diretta in serie C, ma fu penalizzata di ben nove punti. In quei tempi la vittoria non valeva tre punti come adesso, ma solo due, per cui, per recuperare nove punti in meno, bisognava impiegare cinque partite vincendo sempre. C'era il rischio che dopo tanta fatica, gli sforzi fossero inutili e la squadra fosse comunque costretta a retrocedere in serie C, perdendo un altro anno.
Il suo allenatore era il viareggino Eugenio Fascetti, uomo fumantino ma dalle idee strategiche originalissime (era suo il sistema del cosiddetto "casino organizzato", cioè una squadra senza ruoli fissi, in cui tutti erano in grado di giocare in ogni parte del campo). Si arrivò alla partita decisiva Lazio - Vicenza: chi avesse perso, sarebbe retrocesso in serie C, mentre la vincitrice avrebbe avuto la possibilità di giocare gli spareggi con le squadre di Taranto e Campobasso. La Lazio attaccò a vuoto per 83 minuti, finché Giuliano Fiorini segnò il gol della liberazione, un gol diventato emblematico ed esemplare non solo nella storia della Lazio ma di tutto il calcio italiano. Poi la squadra uscì indenne dagli spareggi e l'anno dopo fu promossa nuovamente in serie A.
Che cosa c'entra tutto ciò con il titolo di questo mio post, che suggerisce qualche cosa di sentimentale?
Stefano Greco racconta che il giorno dopo (6 agosto), invece di raggiungere la famiglia in villeggiatura a Santa Severa, andò a Bologna, per assistere al funerale di Fiorini. Ci andò in macchina e durante il viaggio ascoltava la canzone degli U2 With or without you (= con o senza di te). Ecco lo spunto per questo mio articolo.
Mi è venuto nuovamente da pensare quanto siamo debitori ai cari antichi Latini, tanto da scopiazzarli senza pudore. Questa canzone degli U2, come pure il titolo di una miniserie in due puntate, trasmessa dalla Rai nel 2012 ("Né con te né senza di te" interpretata da Sabrina Ferilli), non fanno che imitare (plagiare?) un verso dell'opera Amores di Ovidio (III, 11B, 7), di cui, per capirne meglio il significato, citerò anche i sei versi precedenti:

Da una parte l'odio dall'altra l'amore sono in lotta tra loro e spingono il mio debole cuore ora in un senso ora nell'altro, ma - penso - vince l'amore. Ti odierò, se potrò, altrimenti ti amerò anche contro la mia volontà. Neppure il toro ama il giogo, tuttavia se lo porta appresso, pur odiandolo. Cerco di evitare la tua perfidia, ma la tua bellezza mi fa tornare indietro, mentre ti fuggo; odio i tuoi costumi corrotti, però amo il tuo corpo. Così non posso vivere né senza di te né con te. 

martedì 4 agosto 2020

Chi ben comincia...

Gentili lettrici e cari lettori, come già vi ho scritto, il 13 luglio è stato pubblicato il mio ultimo libro ("Al di là di Lucrezio"), mentre il 23 luglio mi sono state recapitate a casa le copie da me richieste. Avere tra le mani la propria creatura (intellettuale) è già un bel risultato, che mi riempie di soddisfazione. Ma c'è di più...
Ieri sera mi è giunta una comunicazione da parte della Casa editrice, che m'informava della prima vendita: la prima copia del mio libro è stata acquistata su Amazon Priority. Ve lo comunico, per condividere la mia contentezza con qualcuno che possa rallegrarsene.
E uno...  

Pecunia non olet

Il denaro non puzza!
Secondo lo storico Svetonio questa frase fu pronunciata, in questa o in una forma simile, dall'imperatore Vespasiano (69 - 79 d. C.) in risposta al figlio Tito - suo successore dal 79 all'81 d. C. - che, un po' disgustato, aveva criticato l'ultima tassa escogitata dal padre, per riempire le casse dello Stato. Si trattava della tassa sugli orinatoi pubblici, che erano tenuti a pagare i fullones, ossia i lavandai, abituati a prelevare una notevole quantità di urina, da cui si ricavava l'ammoniaca, usata per smacchiare e tingere le vesti. A Tito sembrava una tassa indecorosa, dato che concerneva un rifiuto organico, ma il padre lo invitò ad annusare alcune monete, ricavate dall'esazione di questa tassa, esprimendo il commento che è passato alla storia: il denaro non ha odore. 

sabato 1 agosto 2020

Invito ai lettori

Ho notato che in alcuni giorni c'è un considerevole numero di lettori, da 13 a 19, cosa che ovviamente mi fa piacere. Quindi rivolgo loro una richiesta, che non è difficoltoso o troppo impegnativo esaudire: invito i lettori ad esprimere le loro reazioni ai diversi post, contrassegnando le caselle (divertente - interessante - eccezionale) situate sotto l'articolo. Attualmente lo fanno uno o due...
Vi chiedo questa cortesia, che mi farebbe piacere. Grazie.  

Post in evidenza

Festìna lente

Questo motto latino, tuttora molto usato, significa: affréttati lentamente, e pare che fosse pronunciato spesso dall'imperatore Augusto,...