mercoledì 30 settembre 2020

Al latino non si sfugge

Ai miei cari lettori risulta chiaro - non ne dubito affatto - che ogni volta che scrivo un articolo su questo blog, sono costretto a digitarne il relativo testo sulla tastiera del mio pc, usando il mouse per impartire ad esso certi particolari comandi.
A che mira questo preambolo - vi chiederete - che ha tutta l'apparenza di essere alquanto strano, se non addirittura inconcludente? Mira a indirizzare la vostra attenzione su due parole che, sebbene molto usate in relazione al computer, derivano (ancora una volta) dal nostro caro latino. Digitare - come sappiamo - significa usare le dita per premere i tasti corrispondenti a segni alfabetici, numerici o convenzionali. Ma perché? Perché in latino dito si dice digitus. A sua volta la parola inglese mouse (= topo) è la forma anglicizzata del termine latino mus, che indica appunto il topo: adesso ci sono anche quelli privi di filo, ma è innegabile che la forma di questo strumento e il filo, che lo collega alla tastiera, suggeriscono l'idea del corpo dell'animaletto e del suo lungo e sottile codino. Restando sempre in questo argomento - intendo: il computer -, non posso tralasciare un pur fuggevole accenno al classico codice binario, altra parola che deriva dal latino, dato che bini, binae, bina (tutti gli aggettivi devono essere in grado di esprimere il genere maschile, femminile e neutro, perché potrebbero dover essere concordati con un nome appartenente a uno dei tre generi) è un aggettivo numerale distributivo, che significa due per volta. Insomma nel supertecnologico mondo moderno anche gli strumenti più sofisticati non riescono a fare a meno del caro vecchio latino.    

lunedì 28 settembre 2020

La scuola: croce e delizia

Non tutti sanno che la parola scuola deriva dal greco σχολή ( leggi: scholé), il cui significato originario è: tempo libero, tempo da dedicare alla distrazione o alla lettura, e anche scuola. Mentre in latino "scuola" si indica con la parola "ludus", che vuol dire anche gioco, ma pure palestra, tanto è vero che il "ludimagister" era il maestro della scuola elementare, ma con il termine ludi si indicavano tanto gli spettacoli del circo quanto quelli teatrali. Insomma, penso che apprendere queste notizie non rallegrerà molto gli attuali studenti, che vedono nella scuola un penoso obbligo, e niente che si possa paragonare al tempo libero o al gioco, anche se i meno diligenti e i più maleducati vanno a scuola proprio per divertirsi, disturbando i professori e ostacolando con le loro bravate i compagni, che vorrebbero apprendere qualche cosa.
Negli scrittori latini ci sono gustose rappresentazioni di istantanee scolastiche, interessanti e istruttive. Orazio ci racconta l'esperienza vissuta a Roma da scolaro presso la scuola del grammatico Lucio Orbilio Pupillo, noto semplicemente come Orbilio, un insegnante manesco, definito "plagosus" (= che infligge colpi, che percuote) dal poeta latino. A quanto ci dice Orazio (Epistulae, II, 1, 69-72), Orbilio era un amante della poesia latina arcaica, specialmente di Livio Andronico, i cui versi faceva imparare a memoria ai suoi alunni a colpi di sferza. Questo può spiegare perché Orazio non abbia mai espresso giudizi del tutto positivi sugli antichi poeti latini come Livio, Ennio, Lucilio... Non poteva davvero ricordarli con simpatia.
Giovenale, invece, stava dall'altra parte della barricata, perché è assai probabile che per un certo periodo di tempo abbia insegnato. Nella VII satira, dedicata alla decadenza della cultura, parla anche della scuola e della triste condizione degli insegnanti, che, oltre a dover fronteggiare ogni giorno gli alunni sfaticati e indolenti e vigilare che non compiano sconcezze, devono anche sopportare i loro genitori, che esigono tanto dagli insegnanti, ma pensano che essi pretendano una ricompensa superiore ai loro meriti. Da qui l'amara considerazione del poeta satirico (VII, 157):


"nosse volunt omnes, mercedem solvere nemo"
tutti vogliono imparare, ma nessuno vuole pagarne il prezzo.


Non posso non essere d'accordo con il mio caro Giovenale, anche perché le sue osservazioni andrebbero integrate con la seguente riflessione: in tutti i tempi, ma specialmente oggi, che si è succubi psicologicamente della tecnologia e dello scientismo, si dà tantissima importanza all'informazione (fornire nozioni su nozioni), e poca alla formazione (intellettuale e morale) dei giovani studenti. Non ha senso concepire la scuola come un avviamento al lavoro (= l'aberrazione dell'alternanza scuola/lavoro, che oscilla tra l'aspetto puramente demagogico e quello di sfruttamento del lavoro minorile e, in definitiva, si risolve, in un'insulsa perdita di tempo sottratto allo studio serio), perché il suo scopo è puramente teorico e formativo. Attraverso le pur necessarie nozioni (ineliminabili!) essa deve insegnare a ragionare correttamente nell'ambito di quelle discipline, nelle quali si ha intenzione di esplicare la propria futura attività lavorativa, senza trascurare la formazione del carattere: senso del dovere, spirito di sacrificio, senso di responsabilità. Inoltre lo studio scolastico deve consentire agli studenti di prendere conoscenza e coscienza delle radici culturali, che hanno dato origine al mondo di oggi, per poterlo comprendere e, quando è il caso, sforzarsi di cambiarlo in meglio.
Sì, se ragioniamo così, la scuola può e deve diventare la migliore palestra della gioventù.
  


lunedì 21 settembre 2020

Il fascino dell'ignoto

Lo storico latino Tacito nell'opera intitolata Agricola, composta in onore del suocero, il generale Gneo Giulio Agricola, raccontando la sua spedizione in Britannia, descrive la battaglia finale del Monte Graupio, combattuta e vinta dai Romani nell'83 d. C. contro i ribelli Caledoni (= gli odierni Scozzesi) guidati da Calgaco. Costui, prima della battaglia, mentre arringa i suoi, esortandoli a dimostrare il loro valore, pronuncia una frase, con cui vorrebbe spiegare l'interesse, quasi morboso, che spinge i Romani a conquistare la Britannia, una terra ritenuta per tanti versi misteriosa:

omne ignotum pro magnifico est 
ogni cosa ignota esercita una grande attrattiva

Praticamente si tratta di quello che noi chiamiamo "il fascino dell'ignoto". Ma attenzione: fascino deriva dal latino fascinum, che significa incantesimo, stregoneria, maleficio, oltre ad indicare il membro virile rappresentato con funzione apotropaica. Non è proprio lo stesso concetto a cui noi ci riferiamo, quando davanti a un viso aggraziato o all'aspetto seducente di un bel corpo parliamo di fascino femminile.
Ma, ritornando al fascino dell'ignoto, non posso non essere d'accordo che esso risulti ambivalente, essendo dotato di una duplice faccia: attraente e repellente. Ci attrae il suo lato misterioso ed enigmatico per quella nostra tendenza innata a portare luce e ordine, dove ci pare di scorgere oscurità e disordine. Ma per questo stesso suo aspetto può anche apparirci inquietante e minaccioso, quando ci sembra che contenga o prepari qualche fosca minaccia. Non è appunto questo il motivo per cui gli antichi greci e latini interrogavano gli oracoli degli dei, per apprendere le vicende, che riservava loro il futuro, e noi, che ci riteniamo tanto moderni e spregiudicati, ci troviamo a disagio nel vivere alla giornata, affidandoci alla sorte ignota, ma pretendiamo e ci illudiamo di acquistare sicurezza, programmando la nostra vita (= fare i conti senza l'oste) e cercando di fissare il futuro in formulette rigide e banalizzanti, sia che si tratti di conoscere le previsioni del tempo, sia che si tratti di strappare il velo dal volto del futuro, attraverso gli oroscopi giornalieri o settimanali, la cartomanzia e la chiromanzia?  

giovedì 17 settembre 2020

Un sondaggio... striminzito

 Non so se a qualcuno dei miei lettori possa interessare sul serio che cosa io pensi del sondaggio propostovi e che, per essere sinceri, non ha avuto molto successo (è sempre azzeccata l'espressione: pochi ma buoni, anzi, in questo caso: poche ma buone). Comunque, faccio finta di sentire un coro di incoraggiamenti:
"Su, dicci la tua opinione!"
"Non farci stare in ansia: pensiamo solo a questo"
"Vuoi farci passare un'altra notte in bianco tra ipotesi e supposizioni?"
e... non deluderò le vostre (?) aspettative.
Anche se le due partecipanti mi hanno fornito una sola risposta - ma io ne avevo chieste due in ordine di gradimento - non starò davvero a criticarle, perché meritano un elogio. Io, però, fornirò entrambe le risposte.
Al primo posto metto la numero 1, perché, secondo me, l'ombra, che ciascuno soffre, altro non è che il lato oscuro della nostra personalità, che ci spinge a concepire pensieri e desideri erronei e a compiere azioni sbagliate. Al secondo posto la numero 5, perché tra i tanti moventi che ci sballottano da una parte all'altra, un ruolo importante viene svolto dai caratteri ereditari a cui, volenti o nolenti, anche se in una certa misura (determinata dalla nostra volontà), siamo costretti a sottostare. L'ereditarietà, quando ci porta fuori strada, viene ad essere uno degli aspetti di quell'ombra di cui ho parlato precedentemente e che, per questo, ho collocato al primo posto.

Integrazione del 25 settembre:
Ai due commenti precedenti si è aggiunto anche quello doppio di Diego, il cui apprezzamento ho espresso in una risposta al suo commento.   


 


mercoledì 16 settembre 2020

Gli anni che non hai

L'argomento filosofico, che interessò maggiormente ai Latini e su cui scrissero pagine profonde e suggestive, è senza dubbio il tempo. Orazio e Seneca, pur così diversi nell'indole e nella concezione della vita, ci hanno lasciato riguardo a questo tema riflessioni e sentenze immortali e, talora, non troppo dissimili tra loro.
Il brano, che oggi voglio proporre alla vostra attenzione è tratto dal libro VI della Naturales quaestiones di Seneca (32, 10 - 11), dedicato all'analisi e all'interpretazione del fenomeno dei terremoti. Dato il personaggio - un grande filosofo stoico -, qualunque argomento non può non diventare lo spunto per valutazioni morali, tanto più che quest'opera è indirizzata all'amico Lucilio, lo stesso destinatario delle famose Epistulae, e, pertanto, è quasi inevitabile che sconfini in considerazioni etiche.

Sono ore quelle che perdiamo; supponi che siano giorni o mesi o anni: noi li perdiamo - è vero - ma comunque erano destinati a finire. Ti chiedo: che differenza fa se riuscirò a raggiungerli? Il tempo scorre via e abbandona quelli che ne sono più avidi; non mi appartiene né il futuro né il passato: resto appeso a un attimo del tempo che fugge, e conta molto avere avuto un'esistenza, anche se di breve durata
Lelio, quel famoso saggio, a un tale che diceva: "Ho sessanta anni", rispose argutamente: "Intendi quei sessanta che non hai (più)." E' possibile che non riusciamo a capire la condizione inafferrabile della vita e la sorte del tempo, che non ci appartiene mai, neppure dal fatto che teniamo il conto degli anni perduti?

Al giorno d'oggi avremmo bisogno di molti politici chiacchieroni in meno e di qualche Seneca in più...   

  

venerdì 11 settembre 2020

Deorum Manium iura sancta sunto (SONDAGGIO)

I diritti degli dei Mani saranno sacri: è la traduzione della frase latina, riportata da Cicerone nel suo trattato De legibus (II, 9, 22), che si ritiene desunta dalle Leggi delle XII tavole. Come sappiamo, questo corpus di leggi fu redatto tra il 45o e i 451 a. C. da parte dei cosiddetti decemviri legibus scribundis (= i decemviri incaricati di scrivere le leggi), tra cui c'era anche il console Appio Claudio Crasso che macchiò la sua onorabilità, incapricciandosi della bella Virginia o Verginia (già promessa sposa), fino al punto di volerla possedere a tutti i costi e costringendo suo padre a ucciderla, non sapendo in che altro modo difendere la sua purezza.
Ma chi o che cosa erano gli dei Mani?
Ci sono diverse interpretazioni: le anime dei morti, l'ombra/le ombre, gli dei inferi, le punizioni dell'al di là, il destino personale ultraterreno ed altre più o meno dello stesso tipo.
Nel VI libro dell'Eneide, quello della discesa di Enea agli Inferi, Anchise, mentre sta illustrando al figlio Enea la condizione delle anime dei morti e i diversi modi in cui esse sono costrette a purificarsi dai peccati terreni, pronuncia questa frase enigmatica (v. 743), che ha costituito e costituisce un tormento e una sfida per tutti i latinisti, che si cimentano nel commento di questo passo:

quisque suos patimur manes

che letteralmente significa: soffriamo ciascuno i propri mani; ovvero: ciascuno soffre i suoi mani. Sì: ma in che senso? E in questo caso specifico chi o che cosa corrisponderebbe ai "mani"?

PROPONGO UN SONDAGGIO

Vi presenterò un ventaglio di interpretazioni, di cui vi invito a scegliere le due che ritenete più convincenti e/o più suggestive, messe in ordine di gradimento. Sarebbe assai gradito che i partecipanti motivassero le loro scelte.

1. Ciascuno soffre la propria ombra (anche in senso psicologico)
2. Ciascuno soffre le proprie punizioni
3. Ciascuno sconta le proprie colpe
4. Ciascuno sconta il proprio destino
5. Ciascuno patisce l'influenza [positiva o negativa] dei propri antenati (quello che noi chiameremmo il DNA)

A voi la scelta e... buon divertimento 



 


 

domenica 6 settembre 2020

Lupus in fabula

La locuzione Lupus in fabula significa: il lupo nel discorso/nella favola, e si usa quando si sta parlando, in termini elogiativi o critici, di una persona assente, che compare all'improvviso. Basta pensare alle favolette latine di Fedro, per capire che la presenza del lupo nelle favole di animali è quasi immancabile, cosa che spiega e giustifica il significato di questo modo di dire.  
In pratica, equivale ai due proverbi seguenti usati in italiano con una certa frequenza:
Parli del diavolo e spuntano le corna;
Persona trista, nominata e vista.
Una simpatica curiosità. L'espressione latina è stata modificata leggermente in Lupus in tabula, per intitolare così un gioco di ruolo, adesso molto diffuso, che si gioca con carte speciali.
Un'altra dimostrazione che del latino non si può proprio fare a meno, neppure nei giochi...

venerdì 4 settembre 2020

Oggi è il compleanno...

... del carissimo figlio Diego, talentuoso interprete di commedie musicali.
Tantissimi e affettuosissimi auguri di un

BUON COMPLEANNO!!!

mercoledì 2 settembre 2020

La soluzione del crittogramma

L'enigma è stato risolto. Il caro fratello Massimo mi ha scritto, non nello spazio riservato ai commenti, ma nel modulo di contatto da me appena introdotto (sono contento che l'abbia apprezzato), per darmi la soluzione esatta. In realtà le soluzioni esatte sono due, come aveva già intuito Claudia, che me ne aveva fornita una. Infatti, aveva decifrato il testo correttamente:
Magister meus asinus est
e si era resa conto che la traduzione banale non era soddisfacente (Il mio maestro è un asino), arrivando alla conclusione che la parola magister si dovesse dividere in due parole magis + ter (= più di tre volte). Però le era sfuggito il particolare significato assunto da est, che apparentemente è la terza persona singolare del presente indicativo del verbo essere in latino (= sum), ma talora deriva dal verbo edo (= mangiare), che oltre le proprie forme verbali, può prendere in prestito le corrispondenti forme del verbo sum comincianti con la vocale "e": edit = est, ederem = essem, etc.
Quindi la traduzione effettiva è:
Il mio asino mangia più di tre volte
che, appunto, mi è stata comunicata da Massimo.
Complimenti a Claudia, molti complimenti a Massimo, che con la sua performance ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che i tre anni obbligatori di latino dell'antica Scuola Media davano una conoscenza del latino difficilmente raggiungibile da chi attualmente studia il latino nelle diverse scuole superiori (Liceo Classico, Liceo Scientifico, Liceo di Scienze Umane).   

martedì 1 settembre 2020

James Bond a spasso nel Foro romano

Le guerre non sono mai state vinte solo sul campo di battaglia, ma il più delle volte un trionfo militare è stato favorito da una preventiva e sapiente azione di spionaggio o di controspionaggio. Questa è una risorsa non dei soli tempi moderni, ma una pratica che risale già ai Greci e ai Romani. 
Per restare tra questi ultimi, a cui d'altronde è dedicato il mio blog, voglio parlarvi del sistema crittografico escogitato da quel genio militare che fu Caio Giulio Cesare. So bene che tra i miei lettori c'è un esperto crittografo, ma chi non conosce l'etimologia della parola crittografia, sappia che deriva da due parole greche: kryptòs (= nascosto) e graphìa (= scrittura). Quindi: scrittura nascosta.
Lo storico latino Svetonio, autore della "Vita dei XII Cesari", nel primo libro, dedicato a Giulio Cesare, ci informa pure sulla particolare abilità del condottiero romano in qualità di agente 007 ante litteram (paragrafo 56):

Ci restano anche delle missive indirizzate a Cicerone (= Quinto Tullio Cicerone, fratello del più famoso Marco), come pure ai suoi intimi, su affari privati, nelle quali, se c'erano alcune cose da riferire in modo nascosto, ha scritto usando un linguaggio cifrato, cioè disponendo le lettere in modo tale che non si potesse ricostruire alcuna parola: e qualora uno voglia esaminarle e decifrarle, sostituisca la quarta lettera dell'alfabeto, cioè la D al posto della A e anche le altre di conseguenza.


Nessuno mette in dubbio che questo sistema crittografico fosse rozzo e assolutamente improponibile al giorno d'oggi, però allora, in tempi in cui l'analfabetismo era dominante e soltanto pochi erano in grado di comprendere la scrittura normale, la crittografia di Giulio Cesare non poteva non risultare del tutto indecifrabile e, pertanto, funzionale al suo scopo. 
Esaurito l'aspetto informativo di questo post, vorrei passare a quello pratico e, nello stesso tempo, ludico. Vi proporrò un gioco. Trascriverò una frase latina, usando il sistema crittografico di Cesare e userò la scrittura continua, quella che veniva utilizzata nei codici manoscritti, senza la separazione tra le diverse parole. La frase è questa:

PDLNVZHUPHAVDVNQAVHVZ

Dovete cercare di decifrarla, usando il semplice alfabeto italiano.
A chi sa il latino, e tra i miei lettori ce ne sono alcuni che lo conoscono a diversi livelli, assegno un compito supplementare: devono tradurre dal latino all'italiano la frase nascosta. 
Ma attenzione: c'è una simpatica sorpresa in agguato.
Buon divertimento!
  



     

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