Clarissimae veterum voces
Tornano a risuonare le antiche voci dei grandi scrittori latini
mercoledì 3 luglio 2024
Oggi è il compleanno di...
lunedì 10 giugno 2024
Persio e Giovenale: due malpensanti nella Roma imperiale
Perché ho voluto accomunare Persio e Giovenale nella qualifica – apparentemente negativa – di malpensanti? Prima di rispondere a questo legittimo interrogativo, voglio precisare che la mia definizione di malpensanti è un giudizio di merito, che, a mio parere, non può non risultare positivo, se confrontiamo le loro idee con la degradazione della realtà sociale, in cui ciascuno di loro fu costretto a vivere pur se in tempi diversi.
Persio trascorse la sua breve esistenza – 28 anni scarsi – durante il principato di Nerone, senza mescolarsi alla folla degli opportunisti e degli adulatori, rivolti senza scrupoli alla ricerca di onori e gloria. La sua appartenenza alla scuola filosofica dello Stoicismo non è una motivazione sufficiente, per spiegare le aspre critiche da lui formulate contro l'inconsistente poesia e l'immoralità dilagante dei suoi tempi, perché altri suoi contemporanei famosi, anch'essi stoici, come Seneca, Lucano e Silio Italico, più o meno a lungo gravitarono nell'orbita dell'imperatore e della sua corrotta corte, traendone consistenti benefici, anche se Lucano per breve tempo, Seneca per molti anni, Silio Italico per sempre. Quindi è ben appropriata la definizione di malpensante da me attribuita a Persio, dato che non si piegò mai ad accettare il pensiero dominante, ma neppure a scendere a patti con esso.
Quanto a Giovenale, è sufficiente una conoscenza superficiale di questo autore, per rendersi conto dell'attrito corrosivo esercitato dalle sue satire sulla realtà sociale del I e II secolo d.C. L'indignatio della sua prima fase poetica, apparentemente suscitata dai tempi e dai personaggi della tirannide di Domiziano, in verità va ben oltre, se consideriamo che egli cominciò a pubblicare le sue satire dopo la morte di quel princeps ed affermò esplicitamente che risuscitava i morti come bersaglio delle sue invettive, per evitare le vendette dei vivi, contro i quali, quindi, erano rivolte le sue taglienti e roventi critiche. Ben si attaglia la nomea di malpensante a chi usava parole di fuoco, per bollare il diffuso malcostume femminile, le perversioni sessuali maschili, l'immigrazione scomposta e sregolata di greci, egiziani ed orientali, che invadevano Roma per fare fortuna con tutti i mezzi leciti e – più spesso – illeciti. I suoi contemporanei, tranne quella malalingua di Marziale, che probabilmente – però – non conobbe le sue satire, non lo nominarono mai, segno evidente che non lo apprezzarono, forse perché anche a loro faceva comodo una società del genere o... degenere: scegliete voi.
domenica 5 maggio 2024
Come te non c'è nessuno...
Ripropongo un articolo da me pubblicato tre anni fa, perché è sempre più attuale.
Negli anni della mia adolescenza era in gran voga la cantante Rita Pavone, anche lei giovanissima (aveva due anni più di me). Una delle sue canzoni più famose s'intitolava Come te non c'è nessuno, molto delicata e orecchiabile. Allora mi piaceva sullo stesso piano di quasi tutte le canzoni di quella ragazza e spesso mi andava di canticchiarla, ma adesso, che sono passati parecchi anni, ogni tanto mi capita di ripensarci e, partendo da lì, cominciare un percorso di lunghe riflessioni. No, non alludo alla nostalgia per qualche storia d'amore felice o infelice, ma per associazione di idee, le note di quella canzonetta mi fanno tornare in mente una storia – non so se vera o inventata – che lessi in Internet qualche anno fa. Eccola, ricostruita a memoria e un po' abbellita:
Ogni volta che un professore entrava in classe, si rivolgeva ai ragazzi e in tono serio diceva: “Cari ragazzi, oggi fate bene attenzione a ciò che vi spiegherò, perché questa è una giornata speciale, che non tornerà mai più.” Gli studenti restavano incuriositi dalle sue parole e lo ascoltavano religiosamente, aspettandosi chissà quale rivelazione straordinaria. Ma, al di là dei diversi argomenti affrontati giorno per giorno, nessuno degli alunni riusciva mai a trovare qualche cosa di tanto eccezionale nelle lezioni del professore. Dopo una settimana di inutile attesa una ragazza prese un po' di coraggio e gli disse: “Scusi, professore. Lei ogni giorno inizia la lezione, invitandoci a fare bene attenzione, perché una giornata come quella non tornerà mai più, quasi che lei stesse per svelarci qualche mistero dell'universo e invece... ogni lezione – sì, è interessante – ma non ci rivela nulla di straordinario. Insomma, non comprendiamo perché ogni mattina lei cominci sempre con quelle parole.”
Il professore non si scompose e le chiese:
“Puoi dirmi la data precisa di oggi?”
“Certo, professore: oggi è lunedì 23 aprile 2018.”
“Bene. Nel seguito della nostra vita noi ci troveremo a vivere ancora tantissimi lunedì – voi, senz'altro, molti più di me –, tanti lunedì 23, alcuni lunedì 23 aprile, ma nessun altro lunedì 23 aprile 2018: mai, assolutamente mai più. Questo giorno in questo mondo, che conosciamo, è unico e irripetibile e proprio per questo lo definisco, come tutti gli altri giorni, un giorno straordinario ed eccezionale. Sfruttiamo al meglio ogni giorno, per conoscere meglio noi stessi e il mondo che ci circonda in modo da migliorarci, perché ogni giorno è speciale.”
Quando lessi questa storia – chiamatela pure storiella, se preferite – ne rimasi colpito, perché mi resi conto che questa moderna rivisitazione del carpe diem (= cogli l'attimo) oraziano o del protinus vive (= vivi subito) di Seneca, andava molto al di là delle pur profonde motivazioni – ovviamente ben distinte – che stanno alla base degli inviti pronunciati dal poeta e dal filosofo latini. Infatti, mi convinsi che le parole del professore potevano estendersi senza sforzo dalla realtà temporale a quella umana: ciascuno di noi – ogni persona indistintamente – è unico e irripetibile, è semplicemente se stesso e ogni se stesso è del tutto diverso da qualunque altro se stesso. Si racconta la favoletta che ciascuno di noi nel mondo abbia almeno un sosia e può anche essere. Ma un mio presunto sosia potrà avere i miei stessi lineamenti, la mia stessa struttura fisica, lo stesso colore degli occhi e dei capelli, anche a un di presso lo stesso mio modo di pensare, potrà essere nato lo stesso minuto della stessa ora dello stesso giorno dello stesso anno nella stessa città, nella stessa via, nello stesso edificio ma non dalla stessa madre: questo è sufficiente a rendermi diverso da lui, a rendermi unico e irripetibile. I poteri oscuri, che ci governano, quello economico-finanziario, quello politico, quello religioso, quello militare, quello (pseudo)scientifico-sanitario, tutte le lobby energetiche, ecologiche, erotiche di vario orientamento, etc. vorrebbero omologarci, trasformarci in tante identiche scatolette di carne con la stessa etichetta, bene allineate su uno scaffale, vorrebbero mortificare e conculcare la nostra dignità di esseri liberi, la nostra identità unica e irripetibile, per ridurci all'obbrobrioso livello di esseri smidollati, liquidi, indefiniti e indefinibili, avulsi dalle proprie radici, pronti a ripetere meccanicamente e ossessivamente le indegne favolette partorite dalle menti perverse, che ci vogliono imporre l'infamia del PENSIERO UNICO. Un tempo si diceva, con l'aria pensierosa di chi afferma una grande, pur se ovvia, verità: il mondo è bello perché è vario. I poteri oscuri vorrebbero cancellare la varietà della vita, per costruire un grigio e monotono mondo di soldatini, in cui tutti vengano mossi da esigenze indotte in loro artificialmente, per soddisfare, insieme ai loro più bassi istinti, i propri loschi interessi.
domenica 4 febbraio 2024
Tra i santi del giorno...
martedì 2 gennaio 2024
Pancia mia, fatti capanna!
Nel silenzio complice e colpevole dei pennivendoli di stato, dei politicanti da strapazzo, delle massime autorità civili e religiose, che non rinunciano a baloccarsi con discorsi strampalati, mentre ostentano un'espressione austera, come se rivelassero chissà quali verità rivoluzionarie, sfruttando l'euforia popolare per il periodo di festività, che spinge le persone alla smania compulsiva per gli acquisti e per le distrazioni massa, che altrove – ahimè – sono purtroppo sostituite da distruzioni di massa, sulla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29/12/2023 sono stati pubblicati alla chetichella quattro decreti dell'attuale governo, che ufficializzano definitivamente il consumo alimentare per uso umano di alcuni insetti variamente trattati:
DECRETI, DELIBERE E ORDINANZE MINISTERIALI
Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste
DECRETO 6 aprile 2023. Alimenti e preparati, destinati al consumo umano, ottenuti mediante l’utilizzo della polvere parzialmente sgrassata di Acheta domesticus ovvero di Acheta domesticus congelato, essiccato e in polvere. (23A07040) Pag. 3
DECRETO 6 aprile 2023. Alimenti e preparati, destinati al consumo umano, ottenuti mediante l’utilizzo della larva gialla della farina (larva di Tenebrio molitor) congelata, essiccata o in polvere. (23A07041) Pag. 5
DECRETO 6 aprile 2023. Alimenti e preparati, destinati al consumo umano, ottenuti mediante l’utilizzo della Locusta migratoria, congelata, essiccata e in polvere. (23A07042) Pag. 7
DECRETO 6 aprile 2023. Alimenti e preparati, destinati al consumo umano, ottenuti mediante l’utilizzo delle larve di Alphitobius diaperinus (verme della farina minore) congelata, in pasta, essiccate e in polvere. (23A07043) Pag. 9
Sedotti da tante (e autentiche) leccornìe del periodo natalizio, gli italiani solo in minima parte – i più avveduti e sospettosi: sempre in guardia – hanno fatto caso a questa notizia aberrante, che costituisce un ulteriore tradimento delle premesse ideologiche e delle promesse elettorali dei nostri attuali governanti...
mercoledì 2 agosto 2023
Una profezia di Giovenale
I seguenti sono i versi 124 – 140 tratti dalla Satira II di Giovenale:
Segmenta
et longos habitus et flammea sumit
arcano
qui sacra ferens nutantia loro
sudauit
clipeis ancilibus. O pater urbis,
unde
nefas tantum Latiis pastoribus? Unde
haec
tetigit, Gradiue, tuos urtica nepotes?
Traditur
ecce uiro clarus genere atque opibus uir,
nec
galeam quassas nec terram cuspide pulsas
nec
quereris patri. Vade ergo et cede seueri
iugeribus
campi, quem neglegis. 'Officium cras
primo
sole mihi peragendum in ualle Quirini.'
Quae
causa officii? 'Quid quaeris? Nubit amicus
nec
multos adhibet.' Liceat modo uiuere, fient,
fient
ista palam, cupient et in acta referri.
Interea
tormentum ingens nubentibus haeret
quod
nequeant parere et partu retinere maritos.
Sed
melius, quod nil animis in corpora iuris
natura indulget: steriles
moriuntur...
Indossa nastri e abiti lunghi e il velo da sposa uno che sudò sotto gli scudi ancili, portando quelle sacre reliquie, che oscillavano dall'arcana striscia di cuoio. O padre della città, da dove è giunta una così grande nefandezza ai pastori del Lazio? Da dove, o Gradivo, una tale smania erotica è arrivata a turbare i tuoi discendenti? Ecco, un uomo illustre per il suo casato e le ricchezze si dà in moglie a un uomo, e tu non scuoti l'elmo né batti la terra con l'asta né ti lamenti con tuo padre. Allora vattene e ritirati dall'area del faticoso Campo Marzio, che tu stai trascurando.
“Domani in prima mattinata ho un impegno da assolvere proprio sotto il Quirinale.”
<Di che impegno si tratta?>
“Come, non lo sai? Un mio amico si marita: ci ha invitati in pochi.”
È solo questione di tempo. Poi queste cose si faranno alla luce del sole, anzi pretenderanno pure che siano registrate ufficialmente per iscritto. Ma intanto queste sposine sono tormentate da una grave sofferenza, poiché non possono partorire e trattenere i mariti con i figlioli. Però è meglio così, dal momento che la natura non concede agli animi nessun diritto sui corpi: muoiono sterili...
Mi astengo da ogni commento, perché ciascuno è libero di interpretare questi famosi versi come meglio crede. Comunque, suggerisco ai più curiosi la lettura del mio libro Ma li difende il numero (Youcanprint 2015), tutto centrato sullo studio della II Satira del grande aquinate.
domenica 16 luglio 2023
Oggi è il compleanno...
At tuba terribili sonitu taratantara dixit
o, addirittura, questo verso difficilmente superabile:
O Tite tute Tati tibi tanta tyranne tulisti.
A volte il suo gusto per la sperimentazione lo spinge a sondare tutte le possibilità dell'esametro, anche le più stravaganti, come nel seguente verso, costituito da sei spondei che, con il loro ritmo lento, sono adatti a sottolineare la pausa di silenzio prima della risposta:
Olli respondit rex Albai Longai.
Oltre ai circa seicento esametri degli Annales, ci sono pervenuti scarsi frammenti delle commedie, quattrocento versi delle tragedie – l'autore greco preferito doveva essere Euripide, dato il suo interesse per i personaggi femminili: Andromaca, Ecuba, Ifigenia, Medea –, tra cui ci sono anche due praetextae [= tragedie latine di argomento romano]. Come tragediografo era ricco di pathos e curava l'analisi psicologica. Di lui abbiamo anche qualche frammento di due opere tra il filosofico e il religioso (Epicharmus, Heuhemerus) e di un poemetto dedicato alla gastronomia: Hedyphagetica. I settanta versi rimastici delle sue Saturae gli garantiscono il primato temporale della composizione satirica, anche se non il titolo di vero fondatore del genere: infatti le satire di Ennio hanno ancora una tematica e uno stile molto fluidi.
Morì nel 169 a. C.
mercoledì 5 luglio 2023
AVVISO AI NAVIGANTI
lunedì 3 luglio 2023
Oggi è il compleanno...
... di Franz Kafka (Praga, 3 luglio 1883), uno dei più grandi scrittori del XX secolo. Tre romanzi inquietanti (America, Il processo, Il castello), una raccolta di racconti fantastici, Le lettere a Milena, I diari: ce n'è abbastanza per soddisfare tutti i gusti. Sono contento di condividere il mio compleanno con uno scrittore geniale come lui.
domenica 25 giugno 2023
Un modesto eulogio di Giovenale
No, non è stato un errore di ortografia, ho scritto proprio eulogio: dal verbo greco εὐλογέω [= euloghèo, lodare, esaltare].
Il valore della poesia di Giovenale non è stato ancora adeguatamente riconosciuto da coloro che si occupano professionalmente di Letteratura latina, o almeno non da tutti nella stessa maniera. Me ne sono chiesto il perché.
Ritengo che le risposte possano essere molteplici.
Cominciamo col dire che tuttora sopravvive un concetto retorico di “romanità”, intesa come esaltazione preconcetta di un trionfale imperialismo e come missione civilizzatrice, rintracciabile – per esempio – in alcuni passi di Virgilio e di Orazio i due massimi poeti dell'età augustea e di tutta la latinità. In tempi ben diversi, nel V secolo d. C., gli stessi valori sono stati poi magnificati, ma con una cocente carica di nostalgia, da Rutilio Namaziano, che assisteva con sgomento alla disgregazione dell'Impero romano sotto i colpi convergenti delle invasioni barbariche e della nuova concezione della vita e del destino umano introdotta dal Cristianesimo.
Giovenale, invece, rimpiange il passato glorioso, ma solo per contrapporlo come sferzante rimprovero alla dilagante corruzione e perversione dei discendenti degeneri degli antichi eroi, che avevano reso grande Roma. Davanti ai suoi occhi delusi non si presenta alcuna possibilità di riscatto, né presente né futuro, tanto meno affidato a eventuali imprese militari, considerando che la XVI satira attacca senza mezzi termini i vantaggi e i privilegi di cui godevano i soldati e particolarmente la milizia pretoriana, divenuta sotto l'imperatore Adriano un vero e proprio corpo d'élite.
Un'altra motivazione potrebbe essere il comprensibile disagio procurato ai più dalle incrollabili convinzioni del “malpensante” Giovenale sugli immigrati, sulle donne e sugli omosessuali, in evidente contrasto con le teorie sostenute oggi dal pensiero “politicamente corretto”, a cui molto spesso devono uniformarsi – anche obtorto collo – tutti coloro che ambiscono a riconoscimenti dalla cultura ufficiale o alla concessione di finanziamenti per le loro attività di ricercatori.
Inoltre alcuni possono essere disturbati dall'innegabile sfoggio di artifici retorici del poeta aquinate, che a volte – non lo nego – possono dare l'impressione di una palla al piede, ma nei momenti più ispirati della sua poesia, che sono davvero molti, si rivelano un elemento determinante, per conferire brillantezza ed efficacia espressiva a tante sue riflessioni e a singole locuzioni diventate proverbiali.
Nella valutazione obiettiva delle satire di Giovenale fa da ostacolo, infine, il secolare confronto con quelle oraziane, presentate dalla maggioranza degli studiosi come il modello insuperabile della satira latina: bonarie, sorridenti, ironiche e spesso autoironiche, rivolte a una ristretta cerchia di amici dai gusti raffinati, ma in conclusione fondamentalmente innocue, perché trascurano volutamente il lato drammatico dell'esistenza. Proprio per questo motivo ritengo improponibile e fuorviante il confronto tra le satire di Orazio e quelle di Giovenale, essendo convinto che la comune qualifica di satire non sia sufficiente a giustificare la loro appartenenza al medesimo genere letterario. Per quanto l'aquinate spesso tenga presente la lezione del venosino, tra l'ispirazione dell'uno e quella dell'altro non c'è niente in comune: sono due tipi di poesia diversi, sebbene definiti entrambi come satira.
giovedì 1 giugno 2023
Omofollia
Negli ultimi giorni qualcuno con una dichiarazione inopportuna, anche se – o proprio perché – dettata dal dominante e prevaricatore pensiero unico, ha intonato una geremiade sulla piaga insopportabile di alcune fobie, riguardanti però una minima percentuale di persone, a cui, quando è necessario, va tutta la solidarietà, ma che non possono pretendere di monopolizzare con i loro problemi personali l'attenzione di un'intera società per tutte le ore di tutti i giorni di tutti gli anni. Oltretutto le vere piaghe insanabili sono ben altre, e non riguardano i personalissimi gusti che si esplicano in camera da letto, su cui – giustamente – nessuno ha il diritto di sindacare, ma le esigenze primarie della vita, anzi della sopravvivenza: la difficoltà di trovare un lavoro dignitoso e remunerato decentemente, il problema dell'alloggio, due problemi che, uniti, sono l'ostacolo maggiore che impedisce a un uomo e a una donna di poter formare una famiglia, e poi la malasanità, che si è ben messa in mostra negli ultimi anni, il degrado irrecuperabile in cui è caduta la scuola, che ha trasformato la sua fondamentale funzione formativa in un'indegna funzione informativa, sostanziata dalle stupide e squallide teorie suggerite dalle mode del momento, la follia bellicista che fa sprecare diabolicamente nella pervicace ricerca della morte ingenti risorse, che potrebbero risolvere almeno in parte non pochi dei problemi vitali suaccennati, lo sfruttamento dei bambini, non soltanto a proposito del lavoro minorile ma anche della pedofilia, del loro indegno traffico, dell'espianto dei loro organi, e chi più ne ha, più ne metta.
C'è da aggiungere che questi personaggi, che vorrebbero fare la morale agli altri, pontificando e atteggiandosi a grandi saggi, ignorano pure il significato delle parole che usano con tanta superficiale sicumera. Per esempio, tutti i nomi composti con il suffisso -fobia, che in greco significa paura: agorafobia, claustrofobia, acrofobia, aracnofobia etc., equivalgono a paura dello spazio aperto, di un luogo ristretto, dell'altezza, dei ragni e, quindi, sono un disturbo della personalità, che nessuno si è mai sognato di definire un crimine, ma un'oggettiva limitazione nel comportamento di chi ne è soggetto. Pertanto – e veniamo al punto – la parola omofobia, formata da due parole greche: omoios (= uguale) e fobia (= paura), equivarrebbe semplicemente a: paura dell'uguale ed è un erroneo e inammissibile stravolgimento linguistico e logico farle acquistare l'attuale e vituperato significato di: odio per coloro che fanno l'amore con uno(a) dello stesso sesso.
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