venerdì 31 dicembre 2021
Ancora una volta...
Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere. Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest'anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent'anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l'appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l'almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
martedì 28 dicembre 2021
La virtù degli imbecilli
giovedì 23 dicembre 2021
Il Presepio
mercoledì 22 dicembre 2021
E se...
martedì 21 dicembre 2021
Natale d'altri tempi
Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.
Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.
O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
consce del nostro breve mistero;
che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.
Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;
sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
sabato 18 dicembre 2021
Si avvicina il S. Natale...
giovedì 16 dicembre 2021
E il buio ti avvolgerà
lunedì 6 dicembre 2021
Pubblica [D]istruzione
martedì 30 novembre 2021
(Uomini e) bestie
lunedì 29 novembre 2021
Avviso per i follower
venerdì 26 novembre 2021
Antigone per sempre
Nessuno dei leader di partito ha sentito il dovere civico e morale di riprendere il premier Mario Draghi, il quale nel corso della conferenza stampa di presentazione del Super green pass ha detto che i non vaccinati sono de facto esclusi dalla società. Si tratta di una frase tanto grave che avrebbe dovuto provocare una mezza rivolta nelle file della maggioranza. Invece, niente. Tutti ipnotizzati, poi, magari, sono gli stessi che parlano di cittadinanza e diritti riempiendosi la bocca di vuote parole sfilando ogni 25 aprile mentre concionano di diritti e fratellanza.
Mi riallaccio alla fine del ragionamento di Eugenio Capozzi nell'editoriale di oggi. «Chi non si vaccina è letteralmente fuori dalla società civile, trasformato nemmeno in un cittadino di serie B, quanto in un “non cittadino”». Ebbene, chi si occupa del non cittadino? Quale speranza ha di poter essere un giorno raccolto?
L'espressione "non cittadino" ha un non so che di tragico. Quale potrà mai essere la colpa, il terribile fio tale da far perdere a un uomo la sua appartenenza a una comunità sociale chiamata patria, nazione, città? Un vaccino sperimentale e dall'efficacia ogni giorno che passa più risicata può essere una buona scusa per dividere gli uomini di una comunità in cittadini e non cittadini?
Nell'antica Tebe perse il titolo di cittadino il povero Polinice, che si scannò con il fratello Eteocle per una guerra fratricida. Alla loro morte, il re Creonte, zio dei due, decretò per Eteocle i funerali solenni, mentre per il reietto Polinice l'onta di rimanere insepolto fuori dalle mura cittadine.
Stesso sangue, ma destino diverso. L'uno premiato dal potere, l'altro disprezzato e dato in pasto agli avvoltoi. Se non fosse stato per Antigone, la pietosa sorella che preferì affrontare la morte per dare degna sepoltura al fratello. Scoperta, viene condannata a morte dallo zio, che punì l'atto di insubordinazione. Antigone però non è una sconfitta, perché il suo gesto, unito al suo sacrificio, sono arrivati fino a noi come un'idea madre della legge naturale universale, che l'eroina sofoclea chiamava nomima agrapta (leggi non scritte).
C'è una legge non scritta nel cuore dell'uomo e riguarda la sacralità della morte come della vita. L'intangibilità dei diritti di cittadinanza sanciti iure sanguinis al momento della nostra nascita seguono questa legge non scritta. Neppure ai terroristi più efferati è stato negato lo status di cittadino italiano. “Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”, recita l'articolo 22 della Costituzione.
E' inquietante che nessuno abbia avuto la forza di rimproverare il premier dicendogli che non gli è consentito dire questo. Eppure, sono gli stessi politici che ogni 2 Giugno regalano copie della Carta agli studenti.
Ma è pur anche vero che all'orizzonte non si vede un'Antigone in giro disposta a riportare dentro le mura cittadine le carcasse dei cittadini no vax, ormai bollati senza appello come nemici del popolo e della salute. Nessuno che ricordi ai Creonte di turno: «Nacqui a legami d'amore, non d'odio». Questi sono i risultati.
giovedì 25 novembre 2021
Aspettami là
venerdì 19 novembre 2021
Ultime notizie
giovedì 18 novembre 2021
Signori, il romanzo è servito!
lunedì 15 novembre 2021
Nullum sine exitu iter est
martedì 9 novembre 2021
venerdì 5 novembre 2021
Un'occhiata al prossimo futuro...
mercoledì 3 novembre 2021
Sopra la panca...
In questi giorni, in cui sto curando la pubblicazione del mio ultimo romanzo – è la ventitreesima opera da me composta: 16 romanzi + 7 saggi critici –, mi è tornato in mente l'inizio della mia attività da romanziere, cioè il primo capitolo del mio primo romanzo La città del destino. S'intitolava, e tuttora s'intitola, a meno che qualcuno non ne abbia cambiato il titolo a mia insaputa, Una panchina nel parco, panchina che svolge un ruolo fondamentale nel corso di tutto il romanzo e, di conseguenza, in tutta la tetralogia, che appunto da lì prende le mosse, quella che ho definito La saga di Ablasor. Oltre a quella panchina immaginaria, ma per me realissima, mi vengono in mente altre panchine nella mia vita, due prima e due dopo.
Delle due precedenti una è direttamente legata alla mia laurea, ed è una panchina di Villa Sciarra, in cui a pochi giorni dalla discussione della Tesi mi appartavo con il testo del mio elaborato, per chiarirmi ulteriormente le idee, al fine di prevedere e confutare possibili obiezioni da parte degli esaminatori e perfezionare la traduzione di alcuni brani greci da me citati, su cui verteva la discussione dell'argomento. L'altra, invece, era situata sul Gianicolo, in un vialetto che conduceva al piazzale del belvedere, la terrazza panoramica, dove si trova la statua equestre di Giuseppe Garibaldi. Lì, dopo la laurea e quando già insegnavo, mi recavo ogni tanto in qualche raro pomeriggio libero, per leggere in santa pace e in un'ambientazione invitante opere letterarie di mio gradimento. Devo precisare che allora abitavo in Viale di Villa Pamphili, abbastanza vicino sia a Villa Sciarra sia al Gianicolo.
La quarta panchina riveste per me un ruolo molto particolare, in quanto potrei dire che costituisca un record, una specie di primato anche se del tutto involontario e imprevisto. Proprio il 3 novembre dello scorso anno avrei dovuto impartire una lezione di latino a una mia allieva, che doveva prepararsi a un'interrogazione su un certo numero di poesie di Orazio. Per un disguido trovammo chiuso l'accesso agli appositi locali scolastici e quindi per un'ora e mezza mi adattai a svolgere la lezione su una panchina, collocata in una strada vicina, in mezzo al traffico automobilistico, tra l'andirivieni dei passanti, che ci guardavano sorpresi e incuriositi, mentre declamavamo ritmicamente parole in una lingua a loro sconosciuta: il fatto è che oltre alla traduzione e al commento bisognava pure eseguire la lettura metrica dei versi... Perché ho detto che potrebbe costituire un record? Perché mi è capitato di insegnare sia in presenza (naturalmente), sia molto spesso tramite e-mail, per telefono, per videochiamata, ma una e una sola volta su una panchina in mezzo alla strada. Mi mancano solo lezioni per via telepatica, ma mi sto attrezzando anche per quelle...
venerdì 29 ottobre 2021
Istruzioni per l'uso
martedì 26 ottobre 2021
Finis coronat opus
mercoledì 20 ottobre 2021
Cara OCSE, fatti un... "buono"!
sabato 16 ottobre 2021
Countdown
Prendo lo spunto per questo mio post da alcune frasi scritte da mia figlia Claudia, contenute nel suo primo commento al mio articolo “Scrivere è vivere” del 12 ottobre scorso. Sono delle idee su cui ho riflettuto spesso pure in passato, fin da bambino, ma ancora di più negli ultimi anni: sia allora che ora sono state e sono per me sempre fonte di una sottile angoscia. Le frasi sono queste:
Personalmente preferisco romanzi leggermente più lunghi (ma non troppo) della media ma solo per evitare di pensare “mannaggia, è già finito” nel momento di massimo coinvolgimento, dopo essermi accorta che le pagine rimaste sono troppo poche.
martedì 12 ottobre 2021
Scrivere è vivere
Per quei pochi – preferisco non quantificarne il numero, perché altrimenti mi resterebbe l'amaro in bocca – dicevo: per quei pochi veramente interessati alla mia attività di scrittore (ogni tanto farebbe piacere leggerne qualche commento) voglio dilungarmi un po' sul romanzo, che sto componendo, fornendo loro alcuni ragguagli.
- In data odierna sono arrivato a pagina 132 e, quindi, mancando ancora, più o meno, altri due capitoli, è possibile – ma non lo garantisco – che io riesca a superare il mio record di lunghezza, che è di 156 pagine complessive nel romanzo: Quando ruggisce la notte (2016). Capisco che questa mia osservazione possa apparire un po' bizzarra, ma ho voluto farla, dato che tra i miei lettori c'è stato e c'è chi mi ha rimproverato di non aver scritto romanzi più lunghi, magari di centinaia e centinaia di pagine, in confronto ai quali i miei appaiono come esili e scarni... Bignami.
- Il romanzo risulta strutturato in tre parti, ciascuna divisa in capitoli. La prima parte, la più movimentata e romanzesca, costituisce l'imprescindibile presupposto delle altre due, che risultano più discorsive e ideologiche.
- Indipendentemente dai tempi di ambientazione ci sono ricorrenti riferimenti allo storico latino Sallustio, indirettamente nella prima parte, esplicitamente nelle altre due.
- Inoltre mi preme confessare che ho provato e sto provando una grande soddisfazione e spesso un grande godimento durante l'ideazione e la stesura del romanzo. Immedesimarmi nelle vicende dei personaggi e nei loro moti interiori, sia intellettuali che sentimentali, descrivere stati d'animo e situazioni di vario tipo mi permette di estraniarmi dalla realtà, proiettandomi in un altro mondo, non importa se migliore o peggiore purché diverso.
- Infine vi regalo l'ultima chicca, ossia il titolo del romanzo, ma sotto una forma ermetica e disarticolata, che dovete ricostruire, sulla base dei dati che vi fornisco.
Lettere usate:
a (2), b (1), e (2), g (1), i (3), l (2), o (2), r (1), t (1), u (1), v (2).
Parti del discorso:
articolo (1), verbo (1), congiunzione (1), sostantivo (1), particella pronominale (1).
Più chiaro di così...
mercoledì 29 settembre 2021
Avviso ai lettori fissi e mobili
sabato 25 settembre 2021
Oggi è il compleanno...
… di mio padre, che, se fosse ancora vivo, compirebbe 106 anni, essendo nato il 25 settembre del 1915 e morto il 9 novembre 1981 all'età di 66 anni. Non è vissuto molto, e me ne rendo conto ripensando al fatto che nei suoi ultimi anni di vita tra me e lui si era stabilito un profondo e sincero affiatamento, che mi sarebbe tanto piaciuto che fosse durato più a lungo. La cosa comica – anche nelle riflessioni più tristi si può cogliere un lato, se non proprio comico, almeno umoristico – è che oggi io ho più anni di quanti ne aveva lui quando è venuto meno: se dovessi incontrarlo di nuovo nella sua età di allora – d'altronde è così che lo ricordo e posso immaginarlo – in teoria io dovrei essere più saggio di lui, perché avrei avuto più tempo per fare esperienze e per aumentare le mie conoscenze. Ma in realtà avrei tanta voglia (e forse necessità) di confidarmi con lui e di chiedergli consiglio.
Atque in perpetuum, pater, ave atque vale
lunedì 20 settembre 2021
Quid rides? Mutato nomine, de te fabula narratur
Oggi voglio sottoporvi una favoletta di Fedro poco conosciuta, ma molto significativa, perché presenta delle caratteristiche perenni dell'animo umano. E' la tredicesima del IV libro.
Due uomini, uno menzognero e l'altro sincero, facevano il viaggio insieme e, a forza di camminare, arrivarono nel paese delle scimmie. Ma quando li vide uno scimmione del branco, che sembrava esserne il capo, ordinò di imprigionarli, per chiedere loro che cosa mai gli uomini dicessero di lui. E ordinò che tutti i suoi simili si schierassero davanti a lui in una lunga fila a destra e a sinistra, e che gli preparassero un trono; e li fece schierare davanti a sé come una volta aveva visto fare all'imperatore. Ordina che gli uomini siano condotti in mezzo alle file.
Il capo dice: “Io chi sono?”
Il menzognero risponde: “Tu sei l'imperatore.”
Di nuovo gli chiede: “E questi che vedi stare davanti a me?”
Risponde: “Questi sono i tuoi compagni, i notabili, i generali e gli ufficiali.”
E poiché lui e il suo branco furono lodati con una menzogna, ordina che sia ricompensato e così quello con la sua adulazione li ingannò tutti. Intanto quello sincero pensava tra sé e sé:
“Se questo menzognero, che dice tutte bugie, ha ricevuto tanto, se io dirò il vero, riceverò una ricompensa ancora maggiore.”
Allora il capo delle scimmie dice: “Rispondi anche tu, chi sono io e questi che vedi davanti a me?”
Ma quello che amava sempre la verità ed era abituato a dirla, rispose:
“Veramente tu sei una scimmia e tutti questi simili a te sono sempre scimmie.”
Subito si ordina che venga fatto a pezzi con le unghie e con i denti, perché aveva detto la verità.
[Questa favola è stata scritta] Per le persone malvagie, che amano la menzogna e la malignità, ma oltraggiano l'onestà e la verità.
venerdì 17 settembre 2021
Come te non c'è nessuno
Negli anni della mia adolescenza era in gran voga la cantante Rita Pavone, anche lei giovanissima (aveva due anni più di me). Una delle sue canzoni più famose s'intitolava Come te non c'è nessuno, molto delicata e orecchiabile. Allora mi piaceva sullo stesso piano di quasi tutte le canzoni di quella ragazza e spesso mi andava di canticchiarla, ma adesso, che sono passati parecchi anni, ogni tanto mi capita di ripensarci e, partendo da lì, cominciare un percorso di lunghe riflessioni. No, non alludo alla nostalgia per qualche storia d'amore felice o infelice, ma per associazione di idee, le note di quella canzonetta mi fanno tornare in mente una storia – non so se vera o inventata – che lessi in Internet qualche anno fa. Eccola, ricostruita a memoria e un po' abbellita:
Ogni volta che un professore entrava in classe, si rivolgeva ai ragazzi e in tono serio diceva: “Cari ragazzi, oggi fate bene attenzione a ciò che vi spiegherò, perché questa è una giornata speciale, che non tornerà mai più.” Gli studenti restavano incuriositi dalle sue parole e lo ascoltavano religiosamente, aspettandosi chissà quale rivelazione straordinaria. Ma, al di là dei diversi argomenti affrontati giorno per giorno, nessuno degli alunni riusciva mai a trovare qualche cosa di tanto eccezionale nelle lezioni del professore. Dopo una settimana di inutile attesa una ragazza prese un po' di coraggio e gli disse: “Scusi, professore. Lei ogni giorno inizia la lezione, invitandoci a fare bene attenzione, perché una giornata come quella non tornerà mai più, quasi che lei stesse per svelarci qualche mistero dell'universo e invece... ogni lezione – sì, è interessante – ma non ci rivela nulla di straordinario. Insomma, non comprendiamo perché ogni mattina lei cominci sempre con quelle parole.”
Il professore non si scompose e le chiese:
“Puoi dirmi la data precisa di oggi?”
“Certo, professore: oggi è lunedì 23 aprile 2018.”
“Bene. Nel seguito della nostra vita noi ci troveremo a vivere ancora tantissimi lunedì – voi, senz'altro, molti più di me –, tanti lunedì 23, alcuni lunedì 23 aprile, ma nessun altro lunedì 23 aprile 2018: mai, assolutamente mai più. Questo giorno in questo mondo, che conosciamo, è unico e irripetibile e proprio per questo lo definisco, come tutti gli altri giorni, un giorno straordinario ed eccezionale. Sfruttiamo al meglio ogni giorno, per conoscere meglio noi stessi e il mondo che ci circonda in modo da migliorarci, perché ogni giorno è speciale.”
Quando lessi questa storia – chiamatela pure storiella, se preferite – ne rimasi colpito, perché mi resi conto che questa moderna rivisitazione del carpe diem (= cogli l'attimo) oraziano o del protinus vive (= vivi subito) di Seneca, andava molto al di là delle pur profonde motivazioni – ovviamente ben distinte – che stanno alla base degli inviti pronunciati dal poeta e dal filosofo latini. Infatti, mi convinsi che le parole del professore potevano estendersi senza sforzo dalla realtà temporale a quella umana: ciascuno di noi – ogni persona indistintamente – è unico e irripetibile, è semplicemente se stesso e ogni se stesso è del tutto diverso da qualunque altro se stesso. Si racconta la favoletta che ciascuno di noi nel mondo abbia almeno un sosia e può anche essere. Ma un mio presunto sosia potrà avere i miei stessi lineamenti, la mia stessa struttura fisica, lo stesso colore degli occhi e dei capelli, anche a un di presso lo stesso mio modo di pensare, potrà essere nato lo stesso minuto della stessa ora dello stesso giorno dello stesso anno nella stessa città, nella stessa via, nello stesso edificio ma non dalla stessa madre: questo è sufficiente a rendermi diverso da lui, a rendermi unico e irripetibile. I poteri oscuri, che ci governano, quello economico-finanziario, quello politico, quello religioso, quello militare, quello (pseudo)scientifico-sanitario, tutte le lobby energetiche, ecologiche, erotiche di vario orientamento, etc. vorrebbero omologarci, trasformarci in tante identiche scatolette di carne con la stessa etichetta, bene allineate su uno scaffale, vorrebbero mortificare e conculcare la nostra dignità di esseri liberi, la nostra identità unica e irripetibile, per ridurci all'obbrobrioso livello di esseri smidollati, liquidi, indefiniti e indefinibili, avulsi dalle proprie radici, pronti a ripetere meccanicamente e ossessivamente le indegne favolette partorite dalle menti perverse, che ci vogliono imporre l'infamia del PENSIERO UNICO. Un tempo si diceva, con l'aria pensierosa di chi afferma una grande, pur se ovvia, verità: il mondo è bello perché è vario. I poteri oscuri vorrebbero cancellare la varietà della vita, per costruire un grigio e monotono mondo di soldatini, in cui tutti vengano mossi da esigenze indotte in loro artificialmente, per soddisfare, insieme ai loro più bassi istinti, i propri loschi interessi.
sabato 11 settembre 2021
Tanta merda!
Tantissima merda!
P. S.
giovedì 9 settembre 2021
La commedia della vita
A mio parere, la soddisfazione più grande per un insegnante, che ha l'opportunità di incontrare tanti allievi e tante allieve è quella di sforzarsi di assecondare e valorizzare le qualità, le capacità e le propensioni, di cui in varia misura sono dotati. Non sempre ci sono riuscito e non sempre nel modo in cui avrei voluto. Però alcuni di loro mi sono rimasti impressi nella memoria, perché, anche se frequentati per un periodo di tempo limitato, mi accorgo di aver stabilito con loro un rapporto umano autentico, al di là delle nozioni puramente scolastiche, che ho loro impartito.
sabato 4 settembre 2021
Oggi è il compleanno...
giovedì 26 agosto 2021
I falsi amici
Post in evidenza
Festìna lente
Questo motto latino, tuttora molto usato, significa: affréttati lentamente, e pare che fosse pronunciato spesso dall'imperatore Augusto,...
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Questa frase latina, che significa siamo tutti un popolo solo , è contenuta nel poema De consulatu Styliconis (libro III, v. 159), scritto d...
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Questa sentenza – tutte le cose future sono incerte: vivi subito! – è stata scritta dal filosofo Seneca nell'opera intitolata De brevita...