venerdì 31 dicembre 2021

Ancora una volta...

Data la giornata, vi ripropongo la famosa Operetta Morale di Leopardi: Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere.

Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere. Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest'anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent'anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l'appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l'almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.

martedì 28 dicembre 2021

La virtù degli imbecilli

Charles Baudelaire ha detto che la coerenza è la virtù degli imbecilli, che restano aggrappati disperatamente a quell'unica idea, che possiedono, e non vogliono cambiarla, perché, se lo facessero, crollerebbe irrimediabilmente tutta l'impalcatura della loro vita, che si regge su di essa in precario equilibrio.
A che tende tutto questo sussiegoso preambolo?
Ho cambiato idea e, dopo aver rifiutato per tanti anni di registrarmi su facebook, di recente ho pensato che potesse essermi utile per facilitare e diffondere la conoscenza dei miei libri e la discussione delle tematiche svolte in esse. Non mi vergogno di riconoscere che in quanto scrittore ho una buona dose di vanità: se non l'avessi, scriverei solo per me stesso, in un quadernuccio, su fogli volanti, al limite sulla carta igienica, ma non mi sognerei di pubblicare con tanto di codice ISBN, che garantisce al libro la sua individualità, come una carta d'identità. Per questo mi piacerebbe intavolare una discussione con chi acquista il mio libro o lo riceve in dono da me, per capire che cosa ha apprezzato, che cosa gli è sembrato sbagliato, illogico o incomprensibile, etc. etc. Insomma: mi piacerebbe parlarne.
Ieri finalmente ho completato la mia iscrizione e nei prossimi giorni, cercherò di arricchirla con altri particolari e di cominciare a trasferire nelle mie pagine immagini di copertina, trame e tematiche dei romanzi e dei saggi letterari, finché... non cambierò idea.    

giovedì 23 dicembre 2021

Il Presepio

La consuetudine più caratteristica del Natale è il Presepe o Presepio, perché serve a ricreare anche visivamente l'ambientazione, il paesaggio e i personaggi di questo misterioso e soprannaturale avvenimento. Anche un poeta molto mondano come Gabriele D'Annunzio non ha potuto fare a meno di celebrarlo con una poesia:

Il presepio

 (Gabriele D'Annunzio)

A Ceppo si faceva un presepino
con la sua brava stella inargentata,
coi Magi, coi pastori, per benino
e la campagna tutta infarinata.
La sera io recitavo un sermoncino
con una voce da messa cantata,
e per quel mio garbetto birichino
buscavo baci e pezzi di schiacciata.
Poi verso tardi tu m’accompagnavi
alla nonna con dir: “Stanotte L’Angelo
ti porterà chi sa che bei regali!”.
E mentre i sogni m’arridean soavi,
tu piano, piano mi venivi a mettere
confetti e soldarelli fra’ i guanciali.


A questa poesia fa da necessaria integrazione quella dedicata ai Re Magi dallo stesso poeta:

I Re Magi

(Gabriele D'Annunzio)

Una luce vermiglia
risplende nella pia
notte e si spande via
per miglia e miglia e miglia.
O nova meraviglia!
O fiore di Maria!
Passa la melodia
e la terra s'ingiglia.
Cantano tra il fischiare
del vento per le forre,
i biondi angeli in coro;
ed ecco Baldassarre
Gaspare e Melchiorre,
con mirra, incenso ed oro.

mercoledì 22 dicembre 2021

E se...

Buon Natale

(Dino Buzzati) 


E se invece venisse per davvero?
Se la preghiera, la letterina, il desiderio
espresso così, più che altro per gioco
venisse preso sul serio?
Se il regno della fiaba e del mistero
si avverasse? Se accanto al fuoco
al mattino si trovassero i doni
la bambola il revolver il treno
il micio l’orsacchiotto il leone
che nessuno di voi ha comperati?
Se la vostra bella sicurezza
nella scienza e nella dea ragione
andasse a carte quarantotto?
Con imperdonabile leggerezza
forse troppo ci siamo fidati.
E se sul serio venisse?
Silenzio! O Gesù Bambino
per favore cammina piano
nell’attraversare il salotto.
Guai se tu svegli i ragazzi
che disastro sarebbe per noi
così colti così intelligenti
brevettati miscredenti
noi che ci crediamo chissà cosa
coi nostri atomi coi nostri razzi.
Fa’ piano, Bambino, se puoi.

martedì 21 dicembre 2021

Natale d'altri tempi

Tra tutte le feste dell'anno - intendo quelle religiose, perché quelle politiche e civili sono delle emerite prese in giro -  il Natale è sempre stata la mia preferita. Quando ero bambino e poi ragazzetto, ero affascinato dalla sua atmosfera intima, suggestiva, misteriosa, che modificava veramente il comportamento un po' di tutti. Si sentiva sul serio l'attesa di qualche cosa, di un cambiamento, anche se poi il trascorrere dei giorni e l'inizio del nuovo anno a poco a poco ristabiliva la grigia normalità... Il Natale era una cosa seria, perché, almeno nei giorni immediatamente precedenti e successivi, si pensava all'effettivo significato di quella festività: Dio che s'incarna tra gli uomini per riscattarli. A differenza di oggi, tra presepe e albero di Natale riscuoteva più gradimento il presepe, Babbo Natale qui a Roma appariva ancora un'esotica usanza di paesi stranieri, perché era la Befana, che portava i regali ai bambini (proprio l'ultimo giorno delle vacanze di Natale... Che ingiustizia!). E poi c'erano le musiche natalizie: in tutte le strade del centro - io abitavo in una traversa di Via dei Giubbonari, a poca distanza da Campo de' Fiori - risuonavano le note toccanti delle zampogne, spesso accompagnate dai pifferi, quelli che con un altro nome sono anche chiamati ciaramelle. 

Le ciaramelle

(Giovanni Pascoli)

Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.

Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.

Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.

Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.

Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;

suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.

O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
consce del nostro breve mistero;

che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.

Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;

sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!


sabato 18 dicembre 2021

Si avvicina il S. Natale...

... alla faccia della miscredente Commissione Europea.
Per celebrare questa festa fondamentale della Cristianità, pubblicherò a partire da oggi alcune poesie, che ne illustrino adeguatamente il valore, lo spirito e la particolare atmosfera. Buona lettura!

A Gesù bambino
(Umberto Saba)


La notte è scesa
e brilla la cometa
che ha segnato il cammino.
Sono davanti a Te,
Santo Bambino!
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza.
Fa’ che il tuo dono
s’accresca in me ogni giorno
e intorno lo diffonda,
nel Tuo nome.
 

giovedì 16 dicembre 2021

E il buio ti avvolgerà

Il mio è un romanzo distopico e, per questo, vorrei soffermarmi sul concetto di distopia. Essa è il contrario dell'utopia, parola derivata dal greco: ou (leggi: u) significa non, mentre topos equivale a luogo. Quindi la parola utopia indica un non luogo, un luogo che non c'è, perché ospita una società perfetta, che non è mai esistita e mai esisterà. Distopia, a sua volta, è composta da dus (da leggere con l'u francese), che significa male e topos (= luogo): luogo maligno, luogo malvagio, ossia luogo che ospita una società opprimente, indesiderabile. Di solito una società distopica tende ad essere proiettata nel futuro come realizzazione compiuta di tendenze negative già presenti, allo stato più o meno latente, nel momento attuale.
Però, se noi approfondiamo la questione e l'esaminiamo più da vicino, ci rendiamo conto che tra l'utopia e la distopia non c'è una contrapposizione netta, in quanto l'utopia molto spesso è positiva solo in modo apparente, ma sotto sotto presenta innegabili aspetti distopici. Prendiamo per esempio il dialogo di Platone intitolato Repubblica, la prima grande Utopia della storia occidentale, in cui il filosofo greco per bocca del suo maestro Socrate descrive lo Stato ideale, veramente perfetto poiché i governanti sono tutti filosofi o, ciò che è lo stesso, i filosofi sono al governo. Esso ammette la menzogna come strumento di governo, perché i cittadini devono sapere solo una verità addomesticata, riveduta e corretta, adatta alla loro natura di non filosofi, che non sarebbero all'altezza e in grado di comprendere la verità integrale nuda e cruda. Inoltre in questa società "perfetta" è ammesso, ossia prescritto, l'infanticidio come necessità eugenetica, per mantenere la razza pura. Non siamo in piena distopia?
Non ci deve meravigliare che una - presunta - società perfetta preveda l'infanticidio, perché lo ammette anche  il filosofo Aristotele (= 'l maestro di color che sanno, secondo la definizione di Dante) nel suo trattato Politica, e addirittura un moralista stoico come Seneca, che nel De ira, afferma con la massima indifferenza:
eliminiamo i neonati malformati, affoghiamo anche i figli, se sono nati deboli e deformi; non è una forma di ira ma segno di ragionevolezza separare gli esseri inutili da quelli sani.
Se è facile che un'utopia apparente si trasformi in una reale distopia, è assolutamente impossibile che una distopia possa nascondere in sé un'utopia. Per cui il mio romanzo è distopico senza se e senza ma. Quanto alla natura di questa distopia non entro in merito, per non rivelare qualche particolare a chi non ha ancora letto il romanzo tra i miei "cari" follower (sono otto su dodici quelli a cui ho dato una copia del mio romanzo, o cartacea o digitale). 
Comunque, spero di poterne riparlare presto.  


lunedì 6 dicembre 2021

Pubblica [D]istruzione

 Sono più di cinquanta anni che la scuola è sotto attacco nel senso che è soggetta a spinte e controspinte, che pretendono di condizionarla, snaturarla, deviarla dalla sua funzione primaria e, in fin dei conti, distruggerla. D'altronde ha subìto la stessa sorte degli altri pilastri della collettività civile: la religione, la famiglia, la certezza del diritto, per non parlare del concetto di patria, ormai caduto in disuso in una società che si vanta di essere multietnica, multirazziale, multiqua e multilà. Il famigerato sei politico nella scuola e il diciotto garantito all'università sono state le tappe di passaggio allo stadio attuale, in cui si è arrivati allo sfascio pressoché completo con il pretesto del covid: prima la didattica a distanza (brrr!), poi le promozioni a tutto spiano, poi gli esami di maturità farsa, senza prove scritte e con gli argomenti della prova orale forniti agli studenti in anticipo. E si seguita su questa strada - un vicolo cieco? - che è stata scelta e imposta coscientemente, per impedire ai giovani di acquistare una coscienza e un giudizio critico attraverso lo studio serio, costante e faticoso (altro che interrogazioni programmate!), che esercita la mente e arricchisce l'animo. Si blandiscono i ragazzi con vuote parole di circostanza [voi siete il futuro, la speranza dell'Italia e del mondo... e altre scemenze di questo tipo], ma si sottraggono loro cinicamente gli strumenti intellettuali e morali, con cui potersi impegnare nella società e produrre un reale cambiamento in meglio. Si incoraggiano le occupazioni, le autogestioni, si modificano in peggio i programmi delle singole materie, mentre si cerca di venire incontro alle richieste petulanti e ossessive di introdurre lectiones magistrales di educazione sessuale e di politica. Di recente ho letto che non so quante migliaia di studenti hanno rivolto una petizione al Ministero della Pubblica [D]istruzione, per abolire definitivamente le prove scritte all'esame di maturità. E gli errori di grammatica? E l'uso dei congiuntivi? Ormai i giovani non sanno più scrivere per colpa dei social, della scrittura abbreviata, delle faccine... e non sanno più ragionare da quando alla Scuola Media non si insegna più l'analisi logica. Non so che cosa risponderà l'attuale ministro della cultura nazionale, che si era già risentito, quando gli era stato fatto notare che l'ultimo esame di maturità, senza scritti, era un esame di serie B, e aveva risposto piccato che gli scritti c'erano ed anche impegnativi, ossia l'elaborato, il cui argomento era stato comunicato dalle scuole alla fine di aprile e doveva essere consegnato alla fine di maggio, per dover essere poi discusso in sede di esame orale. Un elaborato che qualunque studente poteva essersi fatto scrivere da chiunque, caro ministro...
Gli stessi giovani, però, che malgrado tutto hanno voglia di conoscere e di apprendere, si disamorano dallo studio, diventato un rituale stanco e ripetitivo, in quanto gli stessi professori in gran parte non credono più nell'importanza del loro ruolo e si adeguano in modo abulico e gattopardesco al mainstream, quando non lo facciano per un interesse ideologico o, più bassamente, personale.
La funzione primaria dell'insegnamento consiste nella scelta tra informazione o formazione. Non basta scegliere la seconda, per stare nel giusto, perché "formare" non significa irreggimentare i ragazzi su una certa idea esclusiva - questo equivale a svolgere un lavaggio del cervello, un vero e proprio plagio - ma aiutarli a formarsi una capacità critica, che permetterà loro di valutare le diverse alternative sottoposte e di sceglierne quella più convincente. Questo è il vero insegnamento perenne, che si trasforma in un profondo legame tra docente e discente, quale, per esempio, è testimoniato dalle calde parole di affettuosa riconoscenza, che Aulo Persio Flacco nella V satira rivolge al suo maestro di filosofia Lucio Anneo Cornuto:

Ora la Musa mi esorta
a rivelarti il mio cuore e mi è gradito mostrare,
o dolce amico Cornuto, quanto dell'anima mia
appartenga a te 

o da quelle ancora più toccanti che Dante Alighieri nel XV canto dell'Inferno indirizza al suo maestro di retorica Brunetto Latini, soggetto come gli altri sodomiti a una pioggia di fuoco:

ché 'n la mente m'è fitta, e or m'accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m'insegnavate come l'uom s'etterna:
e quant'io l'abbia in grado, mentr'io vivo,
convien che ne la mia lingua si scerna.

Anch'io nel mio piccolo ogni tanto ho la sensazione di aver seminato bene e me ne accorgo nell'occasione in cui trovo un riscontro, raro ma graditissimo quando si verifica, in qualche mio allievo. Per esempio, precisamente un anno fa sono riuscito a rintracciare una mia alunna di diversi anni prima, che avevo perso di vista, ma che mi era rimasta impressa per le sue capacità e per i suoi interessi spiccati. Le sue parole in risposta non possono che inorgoglirmi:

Come potrei scordarmi di lei? Mi appassionavano davvero le sue lezioni, e devo dire di averla sempre stimata molto anche a livello umano, entrambi motivi che me la fanno ricordare come uno dei miei professori preferiti degli anni di liceo... La ringrazio tanto per il suo pensiero, per avermi scritto e per essere stato un punto di riferimento per quella ragazzina sperduta che ora sta iniziando a ritrovarsi.

Ho cominciato questo post con un tono avvilito e sfiduciato, ma rileggendo queste parole mi convinco che, finché il rapporto tra docente e discente produrrà risultati di questo tipo, la scuola, anche se in casi sporadici, seguiterà a svolgere un ruolo insopprimibile a livello sociale e a livello individuale, portando a un potenziamento e ad un arricchimento psicologico e morale sia dell'insegnante che dell'allievo.  

   

martedì 30 novembre 2021

(Uomini e) bestie

Quos Deus perdere vult, dementat prius (= quelli che Dio vuol mandare in rovina, prima li fa impazzire). Solo questo è il commento che mi sorge spontaneo, pensando alle assurdità che sto per riferirvi.
La Commissione Europea, guidata dalla famigerata Ursula Von der Leyen, ha partorito un regolamento (per ora ad uso interno), in cui viene stravolto e coartato il linguaggio in un modo che ha poco o nulla da invidiare alla neo-lingua immaginata da Owen nel suo romanzo "1984" - ahimè! - tristemente profetico: la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza, e tante altre amenità di questo tipo. Ma vediamo più da vicino le pretese strampalate della cara Ursula. Per garantire una comunicazione inclusiva, bisogna seguire queste regole:

"Fai attenzione a non menzionare sempre prima lo stesso sesso nell’ordine delle parole, o a rivolgerti a uomini e donne in modo diverso (ad esempio un uomo per cognome, una donna per nome). Quando scegli le immagini per accompagnare la tua comunicazione, assicurarsi che le donne e le ragazze non siano rappresentate in ambito domestico o in ruoli passivi mentre gli uomini sono attivi e avventurosi..."

Non usare il maschile come pronome predefinito né nomi di genere, come "operai, poliziotti", evitare di rivolgersi a una donna con i termini "signora, signorina", in una conferenza non usare la formula di esordio "Signore e signori" ma "Cari colleghi". Evitare espressioni come "il fuoco è la più grande invenzione dell'uomo" ma sostituirla con "il fuoco è la più grande invenzione dell'umanità"; non usare l'aggettivo "disabile" ma parlare di persone con disabilità; vietato parlare di colonizzazione di Marte, ma "inviare umani su Marte" etc. etc. Lo scopo di modificare e violentare il linguaggio è quello di modificare e violentare il modo di pensare, così da costringere gli uomini [scusate: l'umanità] ad abbandonare tutti i valori e i princìpi morali, che stanno alla base della civiltà europea e sostituirli con il pensiero (?) liquido - direi: fangoso - del progressismo radical-chic. Per questo vanno distrutte le radici della cultura europea: l'eredità greco-latina e, specialmente, il cristianesimo. Per garantire il rispetto di tutte le religioni, questo aberrante regolamento europeo vieta di nominare il Natale e l'aggettivo "natalizio": non si deve nominare il "periodo natalizio", che deve essere sostituito con un generico "vacanze". Ma non basta, è vietato addirittura pronunciare i nomi di personaggi fondamentali del cristianesimo: bisogna sostituire Maria e Giovanni con... Malika e Giulio. Siamo alla follia!
Mi mancano le parole adatte per commentare queste scemenze e sono costretto a prenderle in prestito da Dante:
uomini siate e non pecore matte!

lunedì 29 novembre 2021

Avviso per i follower

Vorrei sapere chi, tra i miei follower, è veramente interessato al mio ultimo romanzo "E il buio ti avvolgerà", a cui ho già dedicato alcuni post. E' bene che io lo sappia, per potermi regolare di conseguenza.
Gradirei una segnalazione tra i commenti. Grazie. 

venerdì 26 novembre 2021

Antigone per sempre

Sulla Nuova Bussola Quotidiana del 26/11/21, un quotidiano cattolico d'opinione online, assolutamente indipendente dalla gerarchia ecclesiastica, ho letto un bellissimo articolo dell'ottimo Andrea Zambrano, che è riuscito ad abbinare la miserevole situazione attuale con uno dei più grandi esempi di teatro greco, la tragedia Antigone di Sofocle. Da entusiasta cultore della classicità voglio condividerlo con tutti i lettori fissi e occasionali di questo mio blog. Eccolo:

Nessuno dei leader di partito ha sentito il dovere civico e morale di riprendere il premier Mario Draghi, il quale nel corso della conferenza stampa di presentazione del Super green pass ha detto che i non vaccinati sono de facto esclusi dalla società. Si tratta di una frase tanto grave che avrebbe dovuto provocare una mezza rivolta nelle file della maggioranza. Invece, niente. Tutti ipnotizzati, poi, magari, sono gli stessi che parlano di cittadinanza e diritti riempiendosi la bocca di vuote parole sfilando ogni 25 aprile mentre concionano di diritti e fratellanza. 

Mi riallaccio alla fine del ragionamento di Eugenio Capozzi nell'editoriale di oggi. «Chi non si vaccina è letteralmente fuori dalla società civile, trasformato nemmeno in un cittadino di serie B, quanto in un “non cittadino”». Ebbene, chi si occupa del non cittadino? Quale speranza ha di poter essere un giorno raccolto? 

L'espressione "non cittadino" ha un non so che di tragico. Quale potrà mai essere la colpa, il terribile fio tale da far perdere a un uomo la sua appartenenza a una comunità sociale chiamata patria, nazione, città? Un vaccino sperimentale e dall'efficacia ogni giorno che passa più risicata può essere una buona scusa per dividere gli uomini di una comunità in cittadini e non cittadini?

Nell'antica Tebe perse il titolo di cittadino il povero Polinice, che si scannò con il fratello Eteocle per una guerra fratricida. Alla loro morte, il re Creonte, zio dei due, decretò per Eteocle i funerali solenni, mentre per il reietto Polinice l'onta di rimanere insepolto fuori dalle mura cittadine. 

Stesso sangue, ma destino diverso. L'uno premiato dal potere, l'altro disprezzato e dato in pasto agli avvoltoi. Se non fosse stato per Antigone, la pietosa sorella che preferì affrontare la morte per dare degna sepoltura al fratello. Scoperta, viene condannata a morte dallo zio, che punì l'atto di insubordinazione. Antigone però non è una sconfitta, perché il suo gesto, unito al suo sacrificio, sono arrivati fino a noi come un'idea madre della legge naturale universale, che l'eroina sofoclea chiamava nomima agrapta (leggi non scritte). 

C'è una legge non scritta nel cuore dell'uomo e riguarda la sacralità della morte come della vita. L'intangibilità dei diritti di cittadinanza sanciti iure sanguinis al momento della nostra nascita seguono questa legge non scritta. Neppure ai terroristi più efferati è stato negato lo status di cittadino italiano. “Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”, recita l'articolo 22 della Costituzione.

    E' inquietante che nessuno abbia avuto la forza di rimproverare il premier dicendogli che non gli è consentito dire questo. Eppure, sono gli stessi politici che ogni 2 Giugno regalano copie della Carta agli studenti. 

    Ma è pur anche vero che all'orizzonte non si vede un'Antigone in giro disposta a riportare dentro le mura cittadine le carcasse dei cittadini no vax, ormai bollati senza appello come nemici del popolo e della salute. Nessuno che ricordi ai Creonte di turno: «Nacqui a legami d'amore, non d'odio». Questi sono i risultati. 



       

    giovedì 25 novembre 2021

    Aspettami là

    Un caro pensiero a mia madre, che se n'è andata via in punta di piedi, sola sola undici anni fa senza avvertire nessuno. 

    venerdì 19 novembre 2021

    Ultime notizie

    A notte inoltrata mi sono accorto che il mio romanzo, di cui ho autorizzato la stampa solo poche ore fa, è già in vendita su alcune importanti librerie online:
    - Youcanprint (ovviamente, dato che ne è la casa editrice)
    - Libreria universitaria
    - IBS
    - Feltrinelli online
    - Amazon (che non si sa perché abbia maggiorato il prezzo di copertina).
    Su Youcanprint, oltre alla sinossi, presente in tutte le librerie online, è anche possibile leggere un breve estratto (= le prime 16 pagine). Per questo motivo vi fornisco l'indirizzo su cui cliccare: 


    Per completare l'opera, vi presento pure la copertina:


    A risentirci!

    giovedì 18 novembre 2021

    Signori, il romanzo è servito!

    Dopo una correzione di bozze assai movimentata e problematica, oggi finalmente ho inviato il mio definitivo "visto si stampi" e posso affermare una buona volta di essere in possesso della copertina e dell'impaginato, che tra pochi giorni faranno bella mostra di sé nelle copie cartacee. Il mio carissimo romanzo mi ha fatto penare molto, sia nella sua sofferta produzione concettuale che nella sua laboriosa realizzazione editoriale: basti pensare che è passato attraverso varie fasi e formati diversi di impaginazione, tanto che dalle mie originarie 158 pagine, si è passati a 154, poi 152 e alle definitive 150, che, comunque, è sempre un bel numero, considerando che il suo formato non è 14 x 20, come la maggioranza dei miei romanzi, ma il più ambizioso 15 x 21. Però sono sicuro che mi darà molte soddisfazioni: non intendo dal punto di vista delle vendite - non ho mai pensato di arricchirmi con i diritti d'autore - ma da quello della sua ideazione globale, dell'approfondimento del carattere dei personaggi, della concatenazione delle vicende e, soprattutto, della convinta affermazione di certe idee, di certi valori e di certe interpretazioni del reale, che sono l'attuale colonna portante della mia identità. Intanto comunico a tutti il titolo: 
    E il buio ti avvolgerà
    e poi... ne riparleremo quando avrò il libro tra le mani.
         

    lunedì 15 novembre 2021

    Nullum sine exitu iter est

     Ogni viaggio ha una sua fine, come ci ricorda il saggio Seneca. Oggi si è concluso il viaggio ideale, durato più di cinque mesi, che ho intrapreso per ideare e comporre il mio ultimo romanzo. Tra una dozzina di giorni esso sarà fruibile nelle molteplici librerie online e, dietro ordinazione, pure in quelle fisiche (Feltrinelli, Mondadori, etc.). Da oggi sono in possesso della copertina definitiva e del testo, impaginato nello stesso modo in cui sarà stampato.
    E' un romanzo a cui tengo molto, che si riallaccia a uno spunto sfruttato parzialmente ed episodicamente una decina di anni fa, e che, riveduto, corretto e ampliato, è divenuto il fulcro e il trampolino di lancio delle vicende (ci posso giurare: imprevedibili!) dei restanti due terzi della narrazione. Ne risulta un tutt'unico di cui sono molto soddisfatto, e che, secondo la famosa formula oraziana, unisce indissolubilmente l'utile al piacevole (omne tulit punctum qui miscuit utile dulci = ottenne il miglior risultato chi unì l'utile al dilettevole). Per ora non voglio anticipare nulla oltre a ciò che ho già detto in un post precedente, ma non appena qualcuno di voi lo leggerà (se e quando...), lo accoglierà o con entusiasmo e viva partecipazione o con disappunto e freddezza scostante: certamente - a mio parere - non potrà rimanere indifferente.
    Voglio solo precisare un particolare di secondaria importanza. Nel post del 26 ottobre (Finis coronat opus) avevo preannunciato che il romanzo con le sue 158 pagine avrebbe superato il mio precedente record di lunghezza, che era di 156 pagine. In realtà non facevo i conti con le diverse regole di impaginazione e di dimensione dei caratteri seguite dall'editore, per cui esse sono scese a 154.   

    venerdì 5 novembre 2021

    Un'occhiata al prossimo futuro...

    Invito alla lettura: George Orwell, 1984 (in pillole)

    Esempi del bispensiero, che si esprime nella neolingua: la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza.
    La psicopolizia deve individuare e reprimere gli psicoreati, cioè l'uso di parole e di pensieri sgraditi al Partito, rappresentato idealmente dal Grande Fratello. La Storia non esiste più, perché tutti i fatti passati indesiderati o non in linea con l'ideologia del Partito sono cancellati e sostituiti con altri inventati per l'occasione. Di conseguenza chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato. La menzogna diventa verità e passa alla storia.
    Eliminata ogni privacy da televisori-telecamere che in ogni ambiente spiano le persone 24 ore su 24 (Il Grande Fratello vi guarda!), durante i giornalieri 2 minuti di odio vengono controllate le reazioni fisiche ed emotive dei cittadini contro i presunti nemici del Partito: chi non dimostra di odiare in modo convincente, viene perseguitato dalla psicopolizia, che dipende dal Ministero dell'Amore. In base al bispensiero, questo Ministero, in realtà, si occupa di torturare coloro che sono accusati di psicoreati.
    Comunque, a prescindere da questo libro profetico, anche guardarsi intorno non è fatica sprecata...

    mercoledì 3 novembre 2021

    Sopra la panca...

    In questi giorni, in cui sto curando la pubblicazione del mio ultimo romanzo – è la ventitreesima opera da me composta: 16 romanzi + 7 saggi critici –, mi è tornato in mente l'inizio della mia attività da romanziere, cioè il primo capitolo del mio primo romanzo La città del destino. S'intitolava, e tuttora s'intitola, a meno che qualcuno non ne abbia cambiato il titolo a mia insaputa, Una panchina nel parco, panchina che svolge un ruolo fondamentale nel corso di tutto il romanzo e, di conseguenza, in tutta la tetralogia, che appunto da lì prende le mosse, quella che ho definito La saga di AblasorOltre a quella panchina immaginaria, ma per me realissima, mi vengono in mente altre panchine nella mia vita, due prima e due dopo.

    Delle due precedenti una è direttamente legata alla mia laurea, ed è una panchina di Villa Sciarra, in cui a pochi giorni dalla discussione della Tesi mi appartavo con il testo del mio elaborato, per chiarirmi ulteriormente le idee, al fine di prevedere e confutare possibili obiezioni da parte degli esaminatori e perfezionare la traduzione di alcuni brani greci da me citati, su cui verteva la discussione dell'argomento. L'altra, invece, era situata sul Gianicolo, in un vialetto che conduceva al piazzale del belvedere, la terrazza panoramica, dove si trova la statua equestre di Giuseppe Garibaldi. Lì, dopo la laurea e quando già insegnavo, mi recavo ogni tanto in qualche raro pomeriggio libero, per leggere in santa pace e in un'ambientazione invitante opere letterarie di mio gradimento. Devo precisare che allora abitavo in Viale di Villa Pamphili, abbastanza vicino sia a Villa Sciarra sia al Gianicolo.

    La quarta panchina riveste per me un ruolo molto particolare, in quanto potrei dire che costituisca un record, una specie di primato anche se del tutto involontario e imprevisto. Proprio il 3 novembre dello scorso anno avrei dovuto impartire una lezione di latino a una mia allieva, che doveva prepararsi a un'interrogazione su un certo numero di poesie di Orazio. Per un disguido trovammo chiuso l'accesso agli appositi locali scolastici e quindi per un'ora e mezza mi adattai a svolgere la lezione su una panchina, collocata in una strada vicina, in mezzo al traffico automobilistico, tra l'andirivieni dei passanti, che ci guardavano sorpresi e incuriositi, mentre declamavamo ritmicamente parole in una lingua a loro sconosciuta: il fatto è che oltre alla traduzione e al commento bisognava pure eseguire la lettura metrica dei versi... Perché ho detto che potrebbe costituire un record? Perché mi è capitato di insegnare sia in presenza (naturalmente), sia molto spesso tramite e-mail, per telefono, per videochiamata, ma una e una sola volta su una panchina in mezzo alla strada. Mi mancano solo lezioni per via telepatica, ma mi sto attrezzando anche per quelle...

    Comunque, c'è ancora una quinta panchina presente, pur se episodicamente, nel mio ultimo romanzo. Non ha davvero il valore materiale e simbolico della panchina nel parco, ma da romanzo a romanzo serve a chiudere questa serie ricorrente, questa specie di circolarità, da cui stranamente è rimasta avviluppata casualmente – ma non ho mai creduto al caso! – parte della mia vita. 
    Ce ne sarà una sesta? 

    venerdì 29 ottobre 2021

    Istruzioni per l'uso

    Come ho già anticipato, il mio romanzo, appena concluso, ha come argomento generale quello più semplice e antico, il contrasto drammatico tra Bene e Male. Nella sua trattazione rivestono un ruolo fondamentale i riferimenti allo storico latino Sallustio e alla religione mazdea. Su quest'ultima mi sono dilungato abbastanza nel mio precedente romanzo All'ombra del Saggio Signore. Zoroastro, il paladino e la principessa (Youcanprint, 2019), alla cui lettura ovviamente rimando, mentre sullo scrittore latino devo fornirvi delle nozioni, indispensabili per farsene una pur sommaria idea.
    Gaio Sallustio Crispo nacque ad Amiterno (Abruzzo) nell'86 a. C. da una ricca famiglia plebea. Si dedicò alla politica, militando nel partito cesariano. Grazie all'intervento di Cesare, Sallustio fu riammesso nel Senato, da cui era stato espulso per indegnità, e fu nominato governatore della Numidia, in cui si arricchì secondo il malcostume del tempo. Dopo la morte di Cesare, suo protettore, si ritirò a vita privata negli Horti Sallustiani, la villa sfarzosa costruita con i proventi del suo malgoverno in Africa. Morì intorno al 34/35 a. C. Di lui ci restano tre scritti di argomento storico: due monografie complete e un'opera di ampio respiro – le Historiae – di cui ci sono pervenuti solo dei frammenti e che doveva presentare, sotto una forma annalistica, i fatti avvenuti nell'intervallo di tempo tra le vicende delle due monografie.
    La prima, De Catilinae coniuratione, narra il tentativo rivoluzionario compiuto nel 63 a. C. da Lucio Sergio Catilina. Egli, nobile decaduto ed ex seguace di Silla, dopo aver cercato invano per due volte di farsi eleggere console, organizzò una congiura per impadronirsi del potere con un colpo di stato. Il seguito di Catilina era trasversale, perché ne facevano parte i falliti e i disperati delle tre classi sociali – optimates, equites e populares – che, travolti dai debiti per un eccessivo amore dei lusso e dei divertimenti, vedevano in una rivoluzione l'unica maniera per ribaltare la loro catastrofica situazione finanziaria. Come il suo capo, era gente priva di scrupoli, pronta a compiere qualunque crimine pur di soddisfare l'ambizione e l'avidità da cui era divorata. È memorabile il ritratto che Sallustio fa di Catilina, un gigante del vizio e della depravazione, che però si riscatta combattendo valorosamente e morendo nella battaglia di Pistoia contro l'esercito della repubblica. Lo scrittore ne è contemporaneamente attratto e respinto, perché se è vero che calca la mano sulla malvagità di Catilina, per dimostrare che Cesare non poteva essere segretamente d'accordo con lui – circolava questo sospetto –, d'altra parte riconosce che alcune rivendicazioni dei rivoluzionari erano accettabili, come la denuncia dell'arroganza e dello strapotere dell'oligarchia senatoria.
    La seconda monografia, De bello Iugurthino, racconta la guerra (111 – 105 a. C.) combattutta da Roma contro Giugurta, usurpatore del regno di Numidia. Nipote e figlio adottivo del re Micipsa, padre di Aderbale e Iempsale, dopo la morte dello zio/patrigno volle regnare da solo e uccise i cugini/fratellastri. Il senato, corrotto dall'oro dell'usurpatore, all'inizio fece finta di non vedere, ma poiché nella conquista di Cirta, ultimo rifugio di Aderbale, Giugurta aveva fatto massacrare un buon numero di mercanti italici, fu costretto ad intervenire. La guerra andò per le lunghe, finché il comando fu assegnato al plebeo Caio Mario, che riuscì a convincere il popolo a farsi dare l'incarico, sottraendolo alla superbia degli aristocratici. Aiutato dal suo luogotenente Cornelio Silla – con cui si sarebbe scontrato negli anni a venire – Mario vinse la guerra e catturò Giugurta. Alla pari di Catilina anche Giugurta viene descritto come un genio del male ed esercita un suo fascino ambiguo, ma i veri temi dell'opera sono la corruzione della classe aristocratica e la necessità di dover ricorrere a un generale plebeo, un homo novus, per umiliare la tracotanza dei nobili e sconfiggere un nemico di Roma. Sallustio segue lo stile asiano, concettoso, ricco di immagini, tendente alla ricerca dell'effetto, basato sui contrasti e i chiaroscuri. Il suo è uno stile molto mosso, che rende la narrazione quasi romanzesca e si fonda sull'inconcinnitas (= asimmetria nella struttura della proposizione e del periodo), la brevitas (ellissi, asindeti e descrizioni concentrate), la variatio (bruschi cambiamenti sintattici) e la gravitas (ottenuta tramite l'uso di arcaismi). Una nota comune alle due monografie sono i prologhi moraleggianti, che testimoniano l'interesse di Sallustio per la filosofia e gli offrono l'opportunità di svolgere una sincera autocritica. Tra le opere a lui attribuite, ma non pervenuteci, c'è anche un poema Empedoclea, in cui si sarebbe ispirato alle dottrine di Empedocle e Pitagora.
    Non so quando il mio romanzo potrà essere pubblicato, ma vi terrò aggiornati.


        

    martedì 26 ottobre 2021

    Finis coronat opus

    "La fine è il coronamento del lavoro", ossia: ho concluso la stesura del romanzo e sto in fase di revisione.
    Sono più che soddisfatto di ciò che ho scritto e di come l'ho scritto, della trama, della descrizione degli ambienti, dei caratteri dei personaggi, delle valenze che animano la narrazione e le infondono una finalità oscillante tra l'insegnamento, il gusto dell'avventura, l'estro fantastico e certi convinti - per me imprescindibili - contenuti etici.
    Ancora non voglio spingermi oltre, per non scoprire le mie carte... Però, posso anticipare alcuni particolari, che per me sono secondari e talora fuorvianti, ma ad altri possono sembrare, e in realtà già lo sono sembrati in passato, fondamentali e qualificanti. Ne rivelerò due:
    a) il numero delle pagine. Uno dei punti dolenti delle [bonarie] critiche rivoltemi è il numero non spropositato delle pagine dei miei libri, il cui record è stato stabilito da "Quando ruggisce la notte": 156 pagine. Bene, ho il piacere di annunciare che mi sono superato, perché questo romanzo conterà ben 158 pagine!
    b) la protagonista femminile. A volte mi è stato fatto notare che le eroine - chiamiamole così -, prime attrici dei miei diversi romanzi, tendono ad assomigliarsi, specialmente nell'aspetto fisico, ma in questo romanzo ho cercato di apportare una certa dissomiglianza: niente di eccezionale, ma qualcosa di netto.
    Ovviamente queste anticipazioni valgono al 99%, perché, essendo in fase di revisione, potrei anche apportare dei cambiamenti...
    A breve ritornerò con un post per fornire informazioni definitive e propedeutiche alla lettura.     

    mercoledì 20 ottobre 2021

    Cara OCSE, fatti un... "buono"!

    Oggi ho letto sul Televideo una di quelle notizie... che ti riconciliano con la vita. L'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (= OCSE), uno di quei tanti enti mondialisti, più dannosi che inutili - basti pensare a quanti guai ha combinato di recente e tuttora sta combinando l'OMS e tutti i suoi accoliti -, tramite i suoi rappresentanti, venuti in audizione alla Commissione Bilancio del Senato, ha affermato che l'Italia spende troppo per le pensioni e questo penalizza i giovani e le prospettive future. Come dire: cari vecchi, una volta che avete terminato la vostra vita lavorativa, toglietevi dai piedi il prima possibile, perché la pensione che percepite è a fondo perduto, visto che non producete più niente e i soldi, che vi si danno, potrebbero essere utilizzati per scopi molto più utili della vostra inutile sopravvivenza.
    Ci sarebbe da ridere, riflettendo che simili obbrobriose scemenze sono state dette proprio nel Senato, un'istituzione di privilegiati, che intascano laute pensioni dopo soli cinque anni di legislatura... Comunque, le soluzioni non mancherebbero: da quella di incentivare con qualche premio (?) il vecchio che decidesse di suicidarsi, a quella di escogitare una specie di Green Pass... (...aggio all'altra vita) che sostanzialmente ti costringesse, senza costringerti formalmente. Sì, ridiamoci sopra, è meglio. A proposito, devo spiegarvi il titolo.
    Nel film di Carlo Verdone Bianco, rosso e Verdone il giovane Mimmo, goffo e un po' svanito, deve accompagnare in macchina la nonna da Verona a Roma per votare. Durante il lungo viaggio, la nonna ha bisogno di una medicina, il nipote ne acquista una sbagliata e, quindi, ritorna alla farmacia per restituirla. Ovviamente non gli restituiscono i soldi, ma gli fanno un "buono" equivalente alla somma spesa. Il nipote, che è un vero sprovveduto, torna dalla nonna e nasce questo dialogo:
    "Nonna, nonna, m'hanno fatto un buono, che vor di'? Vor di' che..."
    E la nonna: "Che te la............................" 

    P. S.
    Chi non riesce a capire la risposta della nonna, mi scriva in privato che gliela riferisco per intero.
         

    sabato 16 ottobre 2021

    Countdown

    Prendo lo spunto per questo mio post da alcune frasi scritte da mia figlia Claudia, contenute nel suo primo commento al mio articolo “Scrivere è vivere” del 12 ottobre scorso. Sono delle idee su cui ho riflettuto spesso pure in passato, fin da bambino, ma ancora di più negli ultimi anni: sia allora che ora sono state e sono per me sempre fonte di una sottile angoscia. Le frasi sono queste:


    Personalmente preferisco romanzi leggermente più lunghi (ma non troppo) della media ma solo per evitare di pensare “mannaggia, è già finito” nel momento di massimo coinvolgimento, dopo essermi accorta che le pagine rimaste sono troppo poche.


    Quello che lei ha scritto, riguardo alla lunghezza di un libro, fin da bambino mi angustiava quando andavo al cinema, in cui mi godevo tutto il primo tempo e la prima metà del secondo, poi sentivo l'amaro in bocca quanto più si avvicinava la fine. Può provocare la stessa sensazione spiacevole uno spettacolo teatrale, un bel gioco, una gita, un appuntamento particolarmente gradito, la consumazione di un buon cibo, una qualsiasi esperienza bella, la frequentazione di una persona o di un ambiente per un certo periodo di tempo e non più: insomma qualunque cosa di piacevole sottoposta alla tirannia del tempo “invidioso”, come lo definisce Orazio. Non credo di dire qualche cosa di particolarmente profondo, perché ritengo che una sensazione del genere non sia soltanto io a provarla. Quando poi si supera una certa età, il valore del tempo si raddoppia, si triplica e non se ne vorrebbe sprecare neppure un minuto, perché ogni attimo buttato via o sfuggitoci non tornerà più. Ecco perché in questo blog tra le quattro sentenze memorabili ho messo anche una del filosofo Seneca: nullum sine exitu iter est (= nessun viaggio è senza una sua fine), proprio per avere questo continuo spunto di riflessione. A poco a poco sto arrivando alla conclusione che il termine di qualunque cosa (per es.: di quelle che ho elencato) non sia una fine drastica e ultimativa, ma un possibile inizio. Di che? Mah! Ciascuno avrà la sua risposta da dare. 

    martedì 12 ottobre 2021

    Scrivere è vivere

    Per quei pochi – preferisco non quantificarne il numero, perché altrimenti mi resterebbe l'amaro in bocca – dicevo: per quei pochi veramente interessati alla mia attività di scrittore (ogni tanto farebbe piacere leggerne qualche commento) voglio dilungarmi un po' sul romanzo, che sto componendo, fornendo loro alcuni ragguagli.

    - In data odierna sono arrivato a pagina 132 e, quindi, mancando ancora, più o meno, altri due capitoli, è possibile – ma non lo garantisco – che io riesca a superare il mio record di lunghezza, che è di 156 pagine complessive nel romanzo: Quando ruggisce la notte (2016). Capisco che questa mia osservazione possa apparire un po' bizzarra, ma ho voluto farla, dato che tra i miei lettori c'è stato e c'è chi mi ha rimproverato di non aver scritto romanzi più lunghi, magari di centinaia e centinaia di pagine, in confronto ai quali i miei appaiono come esili e scarni... Bignami.

    - Il romanzo risulta strutturato in tre parti, ciascuna divisa in capitoli. La prima parte, la più movimentata e romanzesca, costituisce l'imprescindibile presupposto delle altre due, che risultano più discorsive e ideologiche.

    - Indipendentemente dai tempi di ambientazione ci sono ricorrenti riferimenti allo storico latino Sallustio, indirettamente nella prima parte, esplicitamente nelle altre due.

    - Inoltre mi preme confessare che ho provato e sto provando una grande soddisfazione e spesso un grande godimento durante l'ideazione e la stesura del romanzo. Immedesimarmi nelle vicende dei personaggi e nei loro moti interiori, sia intellettuali che sentimentali, descrivere stati d'animo e situazioni di vario tipo mi permette di estraniarmi dalla realtà, proiettandomi in un altro mondo, non importa se migliore o peggiore purché diverso.

    - Infine vi regalo l'ultima chicca, ossia il titolo del romanzo, ma sotto una forma ermetica e disarticolata, che dovete ricostruire, sulla base dei dati che vi fornisco.

    Lettere usate:

    a (2), b (1), e (2), g (1), i (3), l (2), o (2), r (1), t (1), u (1), v (2).

    Parti del discorso:

    articolo (1), verbo (1), congiunzione (1), sostantivo (1), particella pronominale (1).

    Più chiaro di così...    


    mercoledì 29 settembre 2021

    Avviso ai lettori fissi e mobili

    Sto scrivendo un romanzo.
    Faccio una doverosa pausa, perché voglio darvi il tempo di digerire e assimilare una notizia così eclatante. Già comincio a sentire - intuire? - i primi commenti, uno in special modo: e a me che me ne importa?
    Al festival di Sanremo del 1954 (io non lo seguii direttamente perché avevo solo sette anni e, oltretutto, a casa mia non c'era neppure la televisione, che fu acquistata quando io ne avevo undici o dodici) arrivò terza una canzone intitolata: ... e la barca tornò sola, che riscosse molto successo. Il famoso cantante Renato Carosone volle farne una riuscitissima parodia, tanto che molti pensano che lui sia stato l'autore della canzone originale, mentre fu l'autore solo della parodia. All'interno del testo originale, assai melodrammatico, la trovata semplice ma originale e di buon effetto comico fu l'introduzione di una frase, che doveva essere canticchiata dal più spiritoso di quel complesso musicale, il batterista Gegè Di Giacomo, che stemperava l'atmosfera tragica della canzone, intercalando più volte di seguito: ... e a me che me ne importa.
    Bene. Spero che questa digressione vi abbia permesso di smaltire la mia sconvolgente dichiarazione.
    Già sento un pullulare di domande: come s'intitola? Di che parla? In che periodo storico è ambientato? Il personaggio femminile è sempre lo stesso (= che palle!)? Ha un lieto fine? Ha un finale che lascia l'amaro in bocca? E' storico? E' politico? E' fantascientifico? No cari miei, siete troppo curiosi e non vi anticiperò niente (a meno che qualcuno non sappia trovare la voglia e le parole giuste per strapparmi qualche risposta...). Posso dirvi soltanto che il romanzo sarà diviso in tre parti, che sono giunto a pagina 97, ossia alla fine della seconda parte e che l'argomento generale - ma molto generale - è un argomento che si presta a una trattazione nel passato, nel presente (purtroppo!) e nel futuro, cioè un argomento sempre attuale: la lotta tra il bene e il male, tra vero e falso, tra giusto e ingiusto. Sento un coro di delusione:
    "Ah! Tutto qui?"
    Beh, scusate se è poco.

    sabato 25 settembre 2021

    Oggi è il compleanno...

     … di mio padre, che, se fosse ancora vivo, compirebbe 106 anni, essendo nato il 25 settembre del 1915 e morto il 9 novembre 1981 all'età di 66 anni. Non è vissuto molto, e me ne rendo conto ripensando al fatto che nei suoi ultimi anni di vita tra me e lui si era stabilito un profondo e sincero affiatamento, che mi sarebbe tanto piaciuto che fosse durato più a lungo. La cosa comica – anche nelle riflessioni più tristi si può cogliere un lato, se non proprio comico, almeno umoristico – è che oggi io ho più anni di quanti ne aveva lui quando è venuto meno: se dovessi incontrarlo di nuovo nella sua età di allora – d'altronde è così che lo ricordo e posso immaginarlo – in teoria io dovrei essere più saggio di lui, perché avrei avuto più tempo per fare esperienze e per aumentare le mie conoscenze. Ma in realtà avrei tanta voglia (e forse necessità) di confidarmi con lui e di chiedergli consiglio.

    Atque in perpetuum, pater, ave atque vale


    [Scusami, Catullo, se ho preso in prestito e leggermente modificato un tuo verso dal carme CI dedicato a tuo fratello (pater al posto di frater). Per chi mastica un po' di metrica latina tengo a precisare che la a di pater è breve, mentre quella di frater è lunga, per cui la sostituzione di una parola all'altra comporta il cosiddetto allungamento in arsi].
    Scusate la pedanteria, ma papà avrebbe apprezzato. 

    lunedì 20 settembre 2021

    Quid rides? Mutato nomine, de te fabula narratur

    "C'è poco da ridere. Se cambi il nome, la favola parla proprio di te." Questa è la traduzione del titolo, i versi 69 - 70 della Satira I,1 di Orazio.

    Oggi voglio sottoporvi una favoletta di Fedro poco conosciuta, ma molto significativa, perché presenta delle caratteristiche perenni dell'animo umano. E' la tredicesima del IV libro.

    Due uomini, uno menzognero e l'altro sincero, facevano il viaggio insieme e, a forza di camminare, arrivarono nel paese delle scimmie. Ma quando li vide uno scimmione del branco, che sembrava esserne il capo, ordinò di imprigionarli, per chiedere loro che cosa mai gli uomini dicessero di lui. E ordinò che tutti i suoi simili si schierassero davanti a lui in una lunga fila a destra e a sinistra, e che gli preparassero un trono; e li fece schierare davanti a sé come una volta aveva visto fare all'imperatore. Ordina che gli uomini siano condotti in mezzo alle file.

    Il capo dice: “Io chi sono?”

    Il menzognero risponde: “Tu sei l'imperatore.”

    Di nuovo gli chiede: “E questi che vedi stare davanti a me?”

    Risponde: “Questi sono i tuoi compagni, i notabili, i generali e gli ufficiali.”

    E poiché lui e il suo branco furono lodati con una menzogna, ordina che sia ricompensato e così quello con la sua adulazione li ingannò tutti. Intanto quello sincero pensava tra sé e sé:

    Se questo menzognero, che dice tutte bugie, ha ricevuto tanto, se io dirò il vero, riceverò una ricompensa ancora maggiore.”

    Allora il capo delle scimmie dice: “Rispondi anche tu, chi sono io e questi che vedi davanti a me?”

    Ma quello che amava sempre la verità ed era abituato a dirla, rispose:

    Veramente tu sei una scimmia e tutti questi simili a te sono sempre scimmie.”

    Subito si ordina che venga fatto a pezzi con le unghie e con i denti, perché aveva detto la verità.

    [Questa favola è stata scritta] Per le persone malvagie, che amano la menzogna e la malignità, ma oltraggiano l'onestà e la verità.

    Chi non ha mai avuto a che fare con persone del genere?  

    venerdì 17 settembre 2021

    Come te non c'è nessuno

    Negli anni della mia adolescenza era in gran voga la cantante Rita Pavone, anche lei giovanissima (aveva due anni più di me). Una delle sue canzoni più famose s'intitolava Come te non c'è nessuno, molto delicata e orecchiabile. Allora mi piaceva sullo stesso piano di quasi tutte le canzoni di quella ragazza e spesso mi andava di canticchiarla, ma adesso, che sono passati parecchi anni, ogni tanto mi capita di ripensarci e, partendo da lì, cominciare un percorso di lunghe riflessioni. No, non alludo alla nostalgia per qualche storia d'amore felice o infelice, ma per associazione di idee, le note di quella canzonetta mi fanno tornare in mente una storia – non so se vera o inventata – che lessi in Internet qualche anno fa. Eccola, ricostruita a memoria e un po' abbellita:

    Ogni volta che un professore entrava in classe, si rivolgeva ai ragazzi e in tono serio diceva: “Cari ragazzi, oggi fate bene attenzione a ciò che vi spiegherò, perché questa è una giornata speciale, che non tornerà mai più.” Gli studenti restavano incuriositi dalle sue parole e lo ascoltavano religiosamente, aspettandosi chissà quale rivelazione straordinaria. Ma, al di là dei diversi argomenti affrontati giorno per giorno, nessuno degli alunni riusciva mai a trovare qualche cosa di tanto eccezionale nelle lezioni del professore. Dopo una settimana di inutile attesa una ragazza prese un po' di coraggio e gli disse: “Scusi, professore. Lei ogni giorno inizia la lezione, invitandoci a fare bene attenzione, perché una giornata come quella non tornerà mai più, quasi che lei stesse per svelarci qualche mistero dell'universo e invece... ogni lezione – sì, è interessante – ma non ci rivela nulla di straordinario. Insomma, non comprendiamo perché ogni mattina lei cominci sempre con quelle parole.”

    Il professore non si scompose e le chiese:

    Puoi dirmi la data precisa di oggi?”

    Certo, professore: oggi è lunedì 23 aprile 2018.”

    Bene. Nel seguito della nostra vita noi ci troveremo a vivere ancora tantissimi lunedì – voi, senz'altro, molti più di me –, tanti lunedì 23, alcuni lunedì 23 aprile, ma nessun altro lunedì 23 aprile 2018: mai, assolutamente mai più. Questo giorno in questo mondo, che conosciamo, è unico e irripetibile e proprio per questo lo definisco, come tutti gli altri giorni, un giorno straordinario ed eccezionale. Sfruttiamo al meglio ogni giorno, per conoscere meglio noi stessi e il mondo che ci circonda in modo da migliorarci, perché ogni giorno è speciale.”

    Quando lessi questa storia – chiamatela pure storiella, se preferite – ne rimasi colpito, perché mi resi conto che questa moderna rivisitazione del carpe diem (= cogli l'attimo) oraziano o del protinus vive (= vivi subito) di Seneca, andava molto al di là delle pur profonde motivazioni – ovviamente ben distinte – che stanno alla base degli inviti pronunciati dal poeta e dal filosofo latini. Infatti, mi convinsi che le parole del professore potevano estendersi senza sforzo dalla realtà temporale a quella umana: ciascuno di noi – ogni persona indistintamente – è unico e irripetibile, è semplicemente se stesso e ogni se stesso è del tutto diverso da qualunque altro se stesso. Si racconta la favoletta che ciascuno di noi nel mondo abbia almeno un sosia e può anche essere. Ma un mio presunto sosia potrà avere i miei stessi lineamenti, la mia stessa struttura fisica, lo stesso colore degli occhi e dei capelli, anche a un di presso lo stesso mio modo di pensare, potrà essere nato lo stesso minuto della stessa ora dello stesso giorno dello stesso anno nella stessa città, nella stessa via, nello stesso edificio ma non dalla stessa madre: questo è sufficiente a rendermi diverso da lui, a rendermi unico e irripetibile. I poteri oscuri, che ci governano, quello economico-finanziario, quello politico, quello religioso, quello militare, quello (pseudo)scientifico-sanitario, tutte le lobby energetiche, ecologiche, erotiche di vario orientamento, etc. vorrebbero omologarci, trasformarci in tante identiche scatolette di carne con la stessa etichetta, bene allineate su uno scaffale, vorrebbero mortificare e conculcare la nostra dignità di esseri liberi, la nostra identità unica e irripetibile, per ridurci all'obbrobrioso livello di esseri smidollati, liquidi, indefiniti e indefinibili, avulsi dalle proprie radici, pronti a ripetere meccanicamente e ossessivamente le indegne favolette partorite dalle menti perverse, che ci vogliono imporre l'infamia del PENSIERO UNICO. Un tempo si diceva, con l'aria pensierosa di chi afferma una grande, pur se ovvia, verità: il mondo è bello perché è vario. I poteri oscuri vorrebbero cancellare la varietà della vita, per costruire un grigio e monotono mondo di soldatini, in cui tutti vengano mossi da esigenze indotte in loro artificialmente, per soddisfare, insieme ai loro più bassi istinti, i propri loschi interessi.

    La simpatica Rita Pavone cantava Come te non c'è nessuno: ricòrdatene, o mio lettore, chiunque tu sia, difendi la tua dignità e resta te stesso. 

    sabato 11 settembre 2021

    Tanta merda!

    Cara Alessia, stasera debutterai nel tuo nuovo spettacolo e non voglio farti mancare il mio convinto ed entusiasta: Tanta merda!, anzi, poiché tu sei interprete, regista, scenografa e tecnico delle luci (ho dimenticato niente?), è più adatto alla situazione un roboante:

    Tantissima merda!

    P. S.

    Appena puoi, con tutta calma, anche la prossima settimana, raccontami qualche cosa e fammi sapere come è andata sabato e domenica, o in un commento qui o, se preferisci, in privato. Ci conto. 
    Se poi avessi qualche immagine o un filmato...

    giovedì 9 settembre 2021

    La commedia della vita

    A mio parere, la soddisfazione più grande per un insegnante, che ha l'opportunità di incontrare tanti allievi e tante allieve è quella di sforzarsi di assecondare e valorizzare le qualità, le capacità e le propensioni, di cui in varia misura sono dotati. Non sempre ci sono riuscito e non sempre nel modo in cui avrei voluto. Però alcuni di loro mi sono rimasti impressi nella memoria, perché, anche se frequentati per un periodo di tempo limitato, mi accorgo di aver stabilito con loro un rapporto umano autentico, al di là delle nozioni puramente scolastiche, che ho loro impartito.

    È il caso di Alessia, una ragazza, a cui ho insegnato latino e greco 6 o 7 anni fa per circa tre mesi e mezzo. Un po' poco, direte voi. Ma non in questo caso, dato che ella a 17 anni aveva le idee molto chiare e una personalità spiccata: era appassionata di teatro e già frequentava con soddisfazione una compagnia teatrale amatoriale. Ricordo il piacere di spiegarle il teatro comico e tragico nella letteratura greca e latina, argomenti che le stavano molto a cuore e di cui era in grado di parlare con cognizione di causa: era fiera di raccontarmi di aver interpretato Medea nell'omonima tragedia di Euripide. Poi ci siamo persi di vista. Dopo aver conseguito la maturità classica, lei ha frequentato con successo l'Accademia, sta approfondendo le sue cognizioni presso la facoltà di Arti e Scienze dello Spettacolo della Sapienza e, intanto, malgrado la pandemia in corso, grazie alla sua creatività e al suo spirito d'iniziativa, si dà da fare. Una decina di mesi fa, essendo riuscito a scovare i video di alcune sue pregevoli interpretazioni in internet, ho ristabilito i rapporti con lei e così oggi ho il piacere di presentare ai miei lettori, fissi e occasionali, la locandina di questo spettacolo:





    Ci sono ancora posti disponibili per il 12, 25 e 26 settembre. Date le limitazioni per il covid, conviene prenotare alla mail:

    compagniastravagarte@gmail.com o al numero di telefono (tramite messaggio o whattsapp):

    328 56 94 427.

    Niente auguri, Alessia, ma ti citerò un verso di Alexander Pope, riferito da Edgar Lee Master, in cui il teatro si trasforma nella metafora della vita: Recita bene la tua parte, in questo consiste l'onore.
    Forza e coraggio!  


    sabato 4 settembre 2021

    Oggi è il compleanno...

    ... del carissimo figlio Diego, terzo e ultimo per ordine di successione, ma non per affetto. A lui l'augurio più sincero di ottenere sempre tutto ciò che gli sta a cuore.
    Intanto, per addolcirgli la bocca, gli presento una chicca: un gol della nostra amata Lazio, segnato in collaborazione da Immobile e Felipe Anderson il 22/02/2018 nella partita di Europa League contro la squadra romena Steaua Bucarest, vinta dalla Lazio per 5 a 1. Con la speranza che questa coppia terribile segni tanti bei gol anche quest'anno che, finalmente, si è ricomposta.

    Tantissimi auguri di Buon Compleanno, Diego
    e goditi il video



     

    giovedì 26 agosto 2021

    I falsi amici

    Non vi preoccupate. Non ho intenzione di lamentarmi della volubilità e della poca affidabilità dei cosiddetti amici, su cui si sono già sbizzarriti tanti moralisti e la stessa saggezza popolare. Per esempio:

    chi trova un amico, trova un tesoro
    oppure
    dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io.

    No, anche se io pure penso che molti sedicenti amici siano mossi esclusivamente dall'interesse (economico o di qualunque altro tipo) e che, appena abbiano ottenuto ciò di cui avevano bisogno, sono pronti a dileguarsi come neve al sole, questo mio post è dedicato a tutt'altro argomento. Voglio parlare di alcuni vocaboli latini, che si presentano in una forma identica o molto simile ad alcune parole italiane, ma hanno un significato completamente diverso. Per questo sono chiamati  falsi amici, in quanto ingannano gli sprovveduti (= gli studentelli alle prime armi), così come i falsi amici in carne ed ossa ingannano gli ingenui, promettendo affetto e sincerità, che non mantengono. Ve ne propongo alcuni esempi interessanti.
    In latino la parola casa, non significa "casa", ma capanna, casupola, perché la nostra casa è la domus.
    Otium non equivale al nostro "ozio", ma al tempo libero dall'impegno lavorativo e, che, quindi, si può dedicare allo studio o al divertimento.
    Alienus non è "l'extraterrestre", appena sbarcato da un'astronave marziana, ma significa altrui o anche estraneo.
    Imbecillus (o imbecillis) non ha niente a che vedere con il nostro insulto: "Imbecille!", perché vuol dire debole o anche ammalato, dato che deriva dall'unione di in + baculus (= bastone), cioè indica chi non ce la fa a camminare ed è costretto ad appoggiarsi a un bastone.
    Captivus non è il "cattivo" ma il prigioniero.
    Avarus non corrisponde al nostro "avaro", ma all'avido.
    Il vocabolo desiderium significa rimpianto o nostalgia di una persona o di una cosa, che si è perduta, non il semplice "desiderio" di ciò che non si ha.
    Potrei seguitare ancora, perché la serie è molto lunga: però i pochi esempi che ho addotto sono sufficienti a dimostrare la complessità, a volte ingannevole, della lingua latina.    

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    Festìna lente

    Questo motto latino, tuttora molto usato, significa: affréttati lentamente, e pare che fosse pronunciato spesso dall'imperatore Augusto,...